Paul Coleman, un giurista specializzato in diritto internazionale che fa parte di Alliance Defending Freedom, ha scritto un’accurata analisi degli sforzi che la lobby LGBT sta compiendo in sede ONU per promuovere la legalizzazione del matrimonio gay.
Posizione insostenibile, oltretutto, a livello di diritto internazionale: perché il diritto internazionale in alcun modo prevede il matrimonio gay, né lo ritiene un diritto.
Negli ultimi anni, tuttavia, molti burocrati delle Nazioni Unite hanno deciso di ignorare i principi sul consenso dei popoli degli Stati membri, enunciati nella Carta delle Nazioni Unite, al fine di sdoganare l’idea che esista un “diritto al matrimonio” tra persone dello stesso sesso.
Il Segretario Generale stesso, è paladino del matrimonio gay, anche se nessun documento delle Nazioni Unite ha mai sancito niente di simile, e anche se la maggioranza degli Stati del Mondo è nettamente contraria.
Già nel luglio 2013, l’Onu ha lanciato “Free & Equal”, una massiccia campagna progettata specificamente per sostenere il matrimonio omosessuale, che si vanta d’aver raggiunto più di un miliardo di persone.
Un anno dopo, il Segretariato delle Nazioni Unite ha iniziato a dare riconoscimento ai matrimoni omosessuali dei dipendenti degli uffici del Segretariato senza consultare nessuno: un atto autoritario del capo-ufficio. Ha detto esplicitamente che ritiene il diritto al matrimonio gay uno dei diritti umani che l’Onu è votata a proteggere.
Nel 2015, Ban Ki-moon ha continuato su questa linea plaudendo pubblicamente alla sentenza della Corte Suprema americana che ha legalizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Nel frattempo ai vertici di molti organismi delle Nazioni Unite sono state insediate persone che hanno a cuore la causa LGBT, e hanno fatto propaganda anche se aldilà dell’ambito delle competenze delle agenzie di cui fanno parte. L’UNICEF, per esempio, ha esplicitamente dichiarato in una pubblicazione del 2014 che supporta promulgazione di leggi che prevedono “riconoscimento legale” delle coppie dello stesso sesso; il Comitato affari economici, sociali e culturali (“CESCR”) ha preso atto “con soddisfazione” della legalizzazione del matrimonio omosessuale in Argentina, e ha invitato il Giappone a estendere il Patto internazionale sui diritti civili e politici a persone non sposate conviventi e a coppie dello stesso sesso. Ha chiesto alla Slovacchia e alla Bulgaria di prendere in considerazione l’adozione di una legge che concedesse il riconoscimento legale alle coppie omosessuali.
In realtà, però, in tutti documenti normativi ufficiali delle Nazioni Unite il matrimonio è indicato sempre come un particolare tipo di relazione possibile solo tra un uomo e una donna.
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dichiara all’art. 16 che “Gli uomini e le donne... Hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia.” Allo stesso modo, il Patto internazionale sui diritti civili e politici (“ICCPR”), che è uno dei dieci principali documenti internazionali sui diritti umani, afferma all’art. 23 “il diritto di uomini e donne in età da marito, di sposarsi e di fondare una famiglia”.
Se alcuni Stati membri hanno al loro interno riconosciuto come matrimonio le unioni omosessuali, ciò non può giustificare una ridefinizione del matrimonio a livello internazionale.
Inoltre, sia il Comitato per i diritti umani (CDU) sia la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) hanno confermato che il diritto internazionale garantisce solo il diritto alle unioni di persone di sesso opposto (si veda il caso di Joslin contro la Nuova Zelanda e il caso Schalk e Kopf vs Austria davanti alla CEDU).
Non solo: in due risoluzioni dell’UNHRC e nella relazione sullo stato attuale della discriminazione nei confronti delle persone LGBT in tutto il mondo, si dice espressamente che “gli Stati non sono tenuti ai sensi del diritto internazionale a riconoscere il matrimonio omosessuale.”
Eppure l’azione di lobbying continua: nel mese di settembre 2015, dodici agenzie delle Nazioni Unite hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che condanna la violenza contro le persone LGBT e la promozione di una lunga lista di “diritti” LGBT che non sono mai stati riconosciuti dal diritto internazionale.
Nel mese di novembre 2015, il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) e l’Ufficio delle Nazioni Unite dell’Alto Commissario per i Diritti Umani (OHCHR) ha annunciato che stavano sviluppando congiuntamente un “Global LGBTI Inclusion Index” per l’attuazione dell’Agenda 2030 recentemente adottata sullo sviluppo sostenibile che guiderà tutti i finanziamenti delle Nazioni Unite per i prossimi quindici anni. Ebbene in tale agenda non c’è alcun riferimento ai diritti LGBT ! Anzi in sede di approvazione dell’agenda, la proposta di riferirsi a tutte “le famiglie” è stata bocciata più volte (perché “la famiglia” è una sola).
La stragrande maggioranza del mondo vede il matrimonio come una relazione tra un uomo e una donna. Attualmente, solo ventitré paesi consentono il matrimonio gay. Pertanto, dei 193 Stati membri che compongono le Nazioni Unite, quasi il 90 per cento si sono rifiutati di ridefinire il matrimonio.
Negli ultimi anni, ben tredici paesi europei hanno modificato le loro leggi al fine di garantire che il matrimonio sia definito come tra un uomo e una donna.
Francesca Romana Poleggi