La donna nella storia, la sua salute e la sua dignità: è questo il motivo conduttore dell’intervento di Filippo Maria Boscia, previsto al Congresso Mondiale delle Famiglie (Verona, 29-31 marzo 2019). La prospettiva offerta dal presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani (Amci) è uno sguardo sul cambiamento antropologico come realtà aggressiva ma non irreversibile. Se si parla della donna e della sua identità, bisognerebbe innanzitutto chiedersi “cosa resta della madre e del padre in questo tempo di declino”, spiega il professor Boscia a Pro Vita.
Sono stati abbandonati i tradizionali binomi “madre/matrimonio” e “padre/patrimonio”, in particolare scardinando la figura femminile e «disgiungendola dalla funzione materna», afferma il presidente dell’Amci. «La donna ha rifiutato di appiattirsi sulla sola funzione materna ed è più tesa ad affermarsi e impegnarsi socialmente al pari degli uomini. È anche un problema economico, perché l’economia ha condizionato tutto e ha inghiottito l’etica».
I temi che lei tratterà al Congresso Mondiale mettono in primo piano la dignità della donna e del bambino: in cosa vengono lese?
«La maternità non è più identificata con il vivere insieme ai figli ma con il produrre figli. La procreazione è diventata pura riproduzione e molte donne pretendono di procreare anche in età avanzata: se un bambino nasce da una madre ventenne, ha la possibilità di vivere al suo fianco anche per ottant’anni; se però i figli si fanno a cinquanta, questo tempo si riduce sensibilmente. Quando le donne antepongono alla maternità la propria affermazione sociale, a esserne lesi sono i diritti dei figli. Anche la figura paterna viene fortemente smorzata perdendo la sua autorità e la sua potestà disciplinare. Maternità e paternità vengono viste come un handicap, come un ostacolo alla propria affermazione sociale. Le relazioni familiari vengono svincolate dalla tenerezza e dalla responsabilità e ridotte a un desiderio ludico di benessere: si esce dalla categoria del dono e si entra in quella del desiderio-diritto».
Per quale motivo l’utero in affitto è profondamente illecito?
«Ovviamente se si dà così tanto spazio all’economia di mercato, tutto diventa un mercato, anche il rapporto femminilità-maternità lo diventa. Quando vedo situazioni in cui coppie omosessuali pretendono di avere dei figli attraverso l’utero in affitto, penso che questo potentato finanziario-economico sta impedendo alle donne di continuare ad avere un ruolo di dignità. Si è ormai arrivati a parlare di “filiera riproduttiva”. Viene allora da chiedersi: dietro quel bambino che nasce c’è una coppia o una cooperativa? I genitori sono ridotti a produttori di gameti, a sbiadite comparse di un film di cui non hanno scritto il copione. E il bambino cos’è? È frutto di un atto tecnico? Eppure l’evento della nascita non è solo un fatto biologico, è dove si sperimenta l’ethos, la differenza, dove si rispetta l’alterità, dove si rispetta l’amore».
E la fecondazione artificiale?
«Ritengo che, nella memoria del bambino, rimanga traccia della modalità con cui è stato ottenuto. Può restarne traccia nelle parole inavvertitamente sfuggite al padre o alla madre o nell’inconscia ostilità con la quale i coniugi sterili si rapportano alla prova vivente della loro incapacità a procreare. È una memoria che può anche insinuarsi come un tarlo nella mente del bambino. Ciò avviene, in particolare, nelle forme eterologhe di riproduzione. Si parla di famiglie allargate: il padre genetico, il padre sociale, la madre genetica, una madre gestazionale... È una totale falsificazione dell’origine. L’anonimato delle origini dell’embrione va a frantumare le figure genitoriali. È un’inaccettabile manipolazione della struttura dell’identità personale. Forse non è a tutti noto che si sta cominciando a parlare di selezione del figlio perfetto a ogni costo e di schedatura dei “donatori”. Ormai è come nella filiera alimentare: seleziono il seme da seminare e avrò un raccolto migliore»…
Lo sviluppo del dibattito sull’aborto rivela una sempre più forte divaricazione: da un lato sempre più obiettori, dall’altro abortisti sempre più ostili. Con quali argomenti l’obiezione di coscienza andrebbe difesa?
«A livello internazionale, assistiamo ormai a situazioni schizoidi. C’è chi afferma che un direttore di Scuola di ostetricia e ginecologia, se si rifiuta di insegnare l’aborto, non può ricoprire l’incarico o deve dimettersi. Peggio ancora, uno studente che voglia iscriversi a medicina, secondo alcuni, se ha una mentalità pro life non dovrebbe fare quel lavoro. Invece, l’obiezione di coscienza è un diritto costituzionalmente riconosciuto ed è importantissimo che venga ribadita, anzi, deve assolutamente essere pretesa dai cittadini utenti. Alla base dell’obiezione di coscienza credo ci sia la coscienza dell’obiezione. L’obiezione di coscienza è una consapevolezza della presenza di una legge morale non scritta che è una legge del cuore. Coloro i quali esercitano attività sanitarie, mediche o infermieristiche devono essere tenuti all’obiezione di coscienza. Non dovremmo essere cooperatori del male, né in forma diretta, né indiretta. L’obiezione di coscienza è non è “dei cattolici”, è un principio laico, che pone un rifiuto a una determinata prestazione nel rispetto della responsabilità personale e, ovviamente, nel rispetto di un valore deontologico, sociale e culturale che è finalizzato alla salvaguardia della coerenza tra i convincimenti ideali di un operatore sanitario e le sue azioni».
Luca Marcolivio