La medicina sta facendo passi da gigante e l’uomo è sempre più padrone di decidere della vita e della morte, ma anche di influenzare in maniera significativa il modo di vivere quotidiano.
Sei malato? Ti puoi curare. Il tuo naso non ti piace? Lo puoi modificare. Sei sterile e vuoi un figlio? Lo puoi creare in laboratorio. E via discorrendo...
Anche la medicina ha quindi i suoi pro e i suoi contro: non è sempre “giusta” a prescindere. Da un lato è giusto che l’uomo progredisca nella ricerca scientifica al fine di garantire una saluta e una qualità di vita sempre migliore, dall’altra è anche doveroso porre dei limiti alla manipolazione della realtà naturale per decisione individuale.
Non si può fare sempre tutto. Ci sono dei confini oltre i quali l’uomo non dovrebbe andare: tra questi, i casi più emblematici sono il decidere chi deve vivere o morire e il giocare a fabbricare da se stessi la vita...
Ebbene, dalla Nuova Zelanda arriva un nuovo caso che non può non interrogare. Una bambina di nome Charley Hooper, di dieci anni e – riporta Aleteia – “[...] affetta da una forma grave di autismo e da paralisi cerebrale, non può parlare o camminare, è cieca e incapace di controllare i movimenti del corpo” rimarrà per sempre una bambina, perlomeno nel corpo. I suoi genitori hanno infatti deciso di somministrarle degli ormoni che ne bloccheranno la crescita, il cosiddetto “Trattamento Ashley”.
La motivazione di questa decisione? Facilitare alla figlia le possibilità di essere assistita e accudita.
E’ giusto tenere una persona allo stato di bambina, almeno per quanto riguarda il peso e la statura (la pelle e gli altri organi, infatti, continueranno ad invecchiare...)? Quello dei genitori è un gesto egoistico, per facilitarsi la vita, o è un gesto d’amore, al fine di garantire migliori cure alla loro bambina?
Padre Maurizio Faggioni, bioeticista e docente dell’Accademia Alfonsiana di Roma, su Aleteia scrive che il metro di giudizio etico dovrebbe essere “che ogni atto terapeutico deve essere accettato consapevolmente da un paziente e che, nel caso di minori e di soggetti comunque incapaci di esprimere consenso, le decisioni devono essere prese dai genitori e dal personale medico, sempre secondo il criterio del ‘miglior interesse’ del soggetto incapace di autonomia“.
Nel caso della piccola Charley, prosegue quindi Faggioni, pare invece che a prevalere sia stata la posizione dei genitori e le loro aspettative rispetto alla vita della figlia, infatti: “[...] non si vede alcun beneficio diretto per la bimba, ma solo un discutibile beneficio indiretto nel senso che sarebbe più agevole per i genitori prendersi cura di una figlia dal corpo infantile e, quindi, più leggero e maneggevole“.
Insomma, il vero punto rimane quello di “[...] modulare le cure perché meglio rispondano al bene autentico e integrale della persona“. (Puoi approfondire le esigenze dell'"etica").
E, accanto a questo, di rendere sempre più funzionante una rete sociale che garantisca un sostegno valido a tutte le famiglie che hanno in cura persone bisognose di cura.
Alla fine poi ci sorge un dubbio: chi mai ha saputo varcare il muro misterioso dell’autismo? Chi sa davvero cosa c’è nel cuore e nella testa di quella ragazzina? Chi sa davvero cosa percepisce di quanto le accade? E se lei si rendesse conto di ciò che le stanno facendo?
Redazione