09/10/2018

Modello Mellin, parla l’Ad Gavelli: «Qui mamme e papà sono un valore»

Se la famiglia è un’impresa (che merita tutto il lavoro che comporta), anche in Italia capita il miracolo che l’impresa è famiglia.

C’è una realtà lavorativa dove la «maternità non è più un problema per l’efficienza aziendale, ma anzi una risorsa da valorizzare ed incentivare». Parola di Fabrizio Gavelli, amministratore delegato della Mellin e di Danone Early Life Nutrition per il cluster – di nuova formazione – South East Europe (Italia, Grecia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Romania), oltre che general manager business services per tutte le aziende del Gruppo Danone in Italia e Grecia.

Al “modello Mellin” guarda con interesse anche il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana, che studia gli esempi positivi di Welfare Familiare nelle aziende. Ma di cosa si tratta e perché le politiche aziendali family-friendly sono ancora così invisibili a livello mediatico? Pro Vita ha intervistato il manager dell’Azienda e lo ha chiesto a lui. In un Paese che preoccupa per i dati sulla denatalità, il messaggio della maternità come valore, anche aziendale, ha bisogno di essere capito e valorizzato.

Dottor Gavelli, partiamo dal principio. Cosa avete fatto nel tempo per facilitare la conciliazione vita-lavoro delle lavoratrici, e come siete diventati un modello da questo punto di vista? Quale l’elemento innovativo?

«Ci sono tre fasi che abbiamo affrontato: la prima concettuale, la seconda d’azione, la terza di risultati. Nella prima, quella concettuale, l’azienda è partita dalla convinzione che quello della denatalità fosse un problema per il Paese. Noi nel 2011 ci siamo accorti che la natalità stava diminuendo e la tendenza verso questo fenomeno era devastante. Poi si è consolidata, se leggiamo i dati: 100mila bambini persi in otto anni in termini di nascite. Oltre a questo, secondo i dati Inps, c’è un 20% di donne lavoratrici che perde il lavoro due anni dopo la nascita del primo figlio e subisce un taglio salariale del 35%. Per cui siamo partiti dal fatto che questa cosa fosse inaccettabile. L’obiettivo chiave non è stato soltanto la presa di coscienza del problema, ma anche la piena consapevolezza che una realtà aziendale può contribuire ad una controtendenza: se non a cambiare il Paese almeno a dare l’esempio. E così siamo diventati un laboratorio per battere un problema che riteniamo rilevante, per la nostra azienda in primo luogo, ma soprattutto per il Paese».

Quindi, le mamme per la Mellin possono diventare anche un valore aggiunto. È vero che possono essere anche più produttive grazie al welfare familiare che avete deciso di porre in essere?

«Certamente. Siamo partiti convinti che l’energia, l’empatia, la creatività e la capacità organizzativa che i genitori in generale hanno nel momento in cui nasce una figlia, non rappresentino un elemento che l’Azienda, o in larga scala il Paese, debba ostacolare. Al contrario: questo momento deve essere considerato un patrimonio non soltanto personale, ma professionale. Per noi questo è un principio fondamentale».

Nella vostra azienda qual è la media di figli per dipendenti e cosa è cambiato dal momento in cui avete applicato le politiche family-friendly?

«Attualmente siamo ad un +7,5% di tasso di natalità interno contro un -3% nazionale. A livello di nucleo familiare il nostro dato è superiore a quello nazionale indicato nell’1,25 % di bambini a coppia, noi siamo intorno all’1,65%. Un numero importante che definirei in netta controtendenza con il dato nazionale».

Quante donne ci sono ai vertici della Mellin e quante sono mamme?

«Siamo passati dal 40 al 45% di donne manager nel 2017 ed è il numero di cui andiamo più orgogliosi. Altri due dati poi per noi sono molto importanti. Il primo è che il 100% delle nostre lavoratrici rientra in servizio dopo la maternità, e il 42% di queste vengono anche promosse. A livello nazionale, invece, purtroppo circa il 20% delle donne lavoratrici perde l’occupazione dopo la nascita del primo figlio».

Sappiamo inoltre che un occhio particolare è dedicato alla formazione. Ci spiega cos’è il programma “maternity as master“?

«Recentemente le nostre aziende hanno aderito a questo strumento di formazione, con il quale vogliamo diffondere nel mondo del lavoro il concetto che la maternità sia un valore. Quindi significa aderire a un principio in base al quale chi reintegra la mamma, che rientra dalla maternità, porta delle competenze aggiornate al proprio interno. Questo perché con il “maternity as a masterle nostre lavoratrici assenti per il periodo della maternità continueranno ad essere aggiornate in campo professionale. Questo avviene attraverso diversi strumenti, a iniziare dal mantenere un colloquio continuo con le lavoratrici-madri che non si trovano in azienda. Attraverso questa fase, possiamo capire quali possano essere le loro prospettive concrete nel momento del rientro al lavoro. Si spende tanto in formazione più o meno strutturata, si fanno tanti corsi internazionali ma la vera domanda è: teniamo conto del fatto che la formazione riguarda tutti i lavoratori in ogni fase? Ebbene noi vogliamo che le neo mamme e i neo papà non perdano le competenze acquisite e una volta rientrati non subiscano penalizzazioni, ma anzi siano facilitati nell’ottenere promozioni e avanzamenti».

Date molta importanza anche ai papà, appunto. Per loro la Mellin cosa ha previsto?

«Ai padri la legge concede solo quattro giorni per supportare la natalità che noi abbiamo aumentato a dieci. E il 100% dei nostri papà decide di utilizzare questi dieci giorni. Lo farò anche io visto che sono in attesa fra qualche giorno della mia seconda figlia e sarò ben lieto di godermeli tutti!».

Quale messaggio vuole mandare alla politica? Con il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana vi siete già interfacciati rappresentando un modello di welfare Familiare, e lui stesso ha mostrato più volte apprezzamento per quanto avete realizzato. Come estenderlo su scala nazionale? Avete qualche richiesta da rivolgere alla politica?  

«Il primo messaggio voglio mandarlo alle aziende, le prime che devono partire dalla consapevolezza di dover e poter diventare un esempio, interno ed esterno. Sono convinto che in questo Paese le imprese, prima di chiedersi cosa aspettarsi dalla politica, dovrebbero preoccuparsi di quale esempio dare alla politica. Questo è il modo in cui abbiamo ragionato noi. Premesso questo, è vero che la politica può contribuire molto e che è molto importante collaborare. Noi puntiamo ad un confronto allargato con le istituzioni nazionali per raccontare la nostra esperienza, per confrontarci con altre esperienze analoghe e con altre aziende che guardano all’area del welfare rivolto alla genitorialità come ad una priorità. I confronti saranno a livello sia aziendale che istituzionale e direi che ho trovato da parte di alcune Aziende ed istituzioni una forte sensibilità. Sensibilità che è partita in primo luogo da un ringraziamento per quanto fatto, cui è seguìto l’invito ad allargare l’esperienza rispetto alle 500 persone che lavorano con noi. L’obiettivo è dunque quello di ‘es-portare’ il nostro modello come esempio per aziende ed istituzioni, partendo dal fatto che la denatalità rappresenta un problema per il Paese».

Ci tolga un’ultima curiosità. Le donne che lavorano da voi sono diventate mamme dopo l’assunzione o avete assunto anche persone che erano già mamme? E come convincerebbe una mamma a venire a lavorare da voi?

«Bellissime domande. Noi abbiamo tante donne assunte da ragazze che poi hanno dato alla luce dei bambini, ma siamo contenti anche di assumere mamme. Tra l’altro risultiamo da sei anni tra le aziende vincitrici del Great place to work, e da un anno del Greate place to work for women. Ciò significa che i nostri comportamenti, sia quelli interni che l’apertura dimostrata all’esterno, sono stati riconosciuti da un istituto riconoscendone il loro vale. Finalmente la maternità non è più un problema per l’efficienza aziendale, ma anzi una risorsa da valorizzare ed incentivare. Le mamme sono già convinte di questo».

Marta Moriconi

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