07/06/2021 di Luca Marcolivio

ESCLUSIVA - Monsignor Giulietti, nuovo presidente Cei Giovani, Famiglia e Vita: «Aborto mai “scelta felice”»

Monsignor Paolo Giulietti è uno di quei vescovi che hanno le idee chiare. L’aborto non è una conquista, né un vanto per nessuno, quindi lo Stato deve impegnarsi a ridurlo il più possibile, non certo a promuoverlo. A questo dibattito, è strettamente legata la questione demografica, su cui la politica non può ostinarsi a voltare la testa dall’altra parte. Su questi e su altri argomenti, il vescovo di Lucca si è soffermato con Pro Vita & Famiglia, all’indomani della sua nomina a presidente della Commissione Giovani, Famiglia e Vita della Conferenza Episcopale Italiana. In attesa di entrare ufficialmente in carica alla guida dell’organo consultivo della CEI, monsignor Giulietti ha ribadito il suo pensiero sui temi che a breve lo impegneranno e che rappresentano fedelmente la dottrina sociale della Chiesa.

 

Eccellenza, partiamo dall’emergenza denatalità. Lo scorso mese, papa Francesco, intervenendo agli Stati Generali, è tornato sul tema dell’inverno demografico. Con quali strumenti la Chiesa italiana può accompagnare le sue famiglie in questo difficile momento?

«Sicuramente è un tema decisivo per il futuro del nostro paese e non solo: penso alla Cina, dove dopo quasi quarant’anni, si sono accorti che la politica del figlio unico stava portando ad esiti disastrosi. A maggior ragione, questo è un tema che coinvolge l’Italia, in quanto paese “più vecchio del mondo”. Il vero punto che va sottolineato e ribadito è che la natalità non è affatto un una questione “privata” ma è di interesse pubblico. È interesse di chiunque che le coppie possano essere feconde e mettere al mondo figli. Una prima riflessione che la Chiesa può dare è quindi che il mettere su famiglia è un processo sociale che va sostenuto e incoraggiato. In secondo luogo, c’è un discorso culturale da portare avanti. È vero che, molto spesso, la maternità e la paternità sono scoraggiate da ostacoli oggettivi come la mancanza di un adeguato welfare familiare. È anche vero, però, che la genitorialità si inserisce nel più ampio problema dell’essere adulti oggi e della generatività sempre più in calo. Lo stesso papa Francesco ha accennato al falso mito della “adorazione della giovinezza” (Christus vivit, 182). È chiaro che se rimaniamo un popolo di eterni adolescenti, diventa impossibile diventare genitori o educatori. Quindi, c’è un lavoro da fare, che la Chiesa porta avanti da sempre e, per il quale, sta intensificando il suo impegno: tornare a tornare a parlare dell’adulto generativo e ad avere stima della maternità e della paternità. Pur senza cadere in una retorica eccessiva, va trasmesso il messaggio che diventare genitori è qualcosa che ha un immenso valore. Eppure, oggi portare il peso di una famiglia numerosa non è valutato come positivo, né appagante. È un pensiero condivisibile da parte della Chiesa, quindi, che le politiche familiari diventino stabili e trasversali, potendo contare su risorse sicure, e non venendo intaccate nemmeno in caso di un cambio di maggioranza politica».

Pro Vita & Famiglia ha recentemente presentato un rapporto sui costi della Legge 194. A 43 anni dall’approvazione, qual è il bilancio che se ne può trarre?

«La prima considerazione che si può fare è che mancano all’appello almeno sei o sette milioni di italiani. Questo è un dato oggettivo e incontrovertibile. L’effetto della Legge 194 non è stato affatto positivo nemmeno a livello demografico: credo che riconoscerlo non sia un’affermazione ideologica. Altro risvolto importante: la Legge 194 non è stata affatto applicata nei suoi aspetti preventivi, ad esempio, con la rimozione degli ostacoli di ordine economico, che possono ostacolare la scelta della maternità e della paternità. Comunque la si veda, l’aborto non potrà mai essere considerato una scelta felice. Averlo legalizzato non lo ha reso qualcosa di “bello” o positivo. Anche in questo caso, c’è un discorso culturale da fare. Premesso che non possiamo giudicare nessuno, né entrare nelle coscienze delle persone, anche se l’aborto dovesse diventare un diritto – cosa, peraltro, molto discutibile – non potrà mai diventare un “diritto felice”. Indubbiamente questa legge ha reso un cattivo servizio al paese, facendo passare l’aborto come qualcosa di indolore. Chi è stato vicino alle donne che lo hanno praticato, sa bene che non è così. A distanza di 43 anni, dovremmo cercare di porre rimedio a questa visione delle cose. L’aborto segna il percorso esistenziale della donna e anche dell’uomo: non dobbiamo dimenticare che un figlio si fa in due. Se una donna o una coppia hanno difficoltà a far nascere un figlio, non è un problema soltanto loro, non posso dire che non mi riguarda. Uno Stato che si limiti ad assicurare un aborto “facile e sicuro” non ha fatto il suo dovere. Lo Stato avrà agito bene soltanto se avrà reso ogni scelta personale veramente libera. Se una donna è costretta ad abortire per ragioni di carattere sociale, economico o lavorativo, non avrà mai scelto liberamente».

Altro tema caldo in queste settimane è la libertà educativa, principio radicato principalmente nelle famiglie. Quali sono gli argomenti che maggiormente sostenuti dalla Chiesa in questo ambito?

«La libertà educativa è un tema molto ampio, che si inserisce nell’ancor più vasto principio di sussidiarietà. Si tratta di un principio inserito nella Costituzione per cui determinate funzioni sociali non devono per forza essere assicurate dallo Stato ma, piuttosto, è lo Stato che ha il diritto e il dovere di sostenerle. Oggi, però, viviamo ancora in un contesto in cui la visione centralista e statalista prevale su quella sussidiaria e questo rende difficile l’esercizio di ogni libertà. Dentro il tema della libertà educativa, c’è il riconoscimento del valore fondamentale della famiglia, che lo Stato non determina ma semplicemente riconosce. La scuola, quindi, non è un sostituto della famiglia nel suo ruolo educativo. In particolare, quando parliamo di educazione all’affettività, ci riferiamo a un tema essenzialmente legato alla realtà familiare. Lo Stato, quindi, non può entrare a gamba tesa in questi in questi ambiti e disconoscere il primato della famiglia: in tal caso violerebbe la Costituzione. Quando affermiamo che la famiglia è un soggetto educativo primario, lo diciamo non solo da cristiani ma, in primis, da cittadini».

 

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