30/05/2023 di Giuliano Guzzo

Nel piacentino sindaco vuole registrare “figli” di coppie gay, in barba alla legge

«Sento come dovere fare ciò che è in mio potere per poter garantire massime tutele ai minori». Sono queste le parole con cui Claudia Ferrari, sindaco di Sarmato - cittadina di 2.800 abitanti nel Piacentino - ha scelto di prender una posizione che le sta procurando molte polemiche: quella della registrazione di un bimbo, che nascerà tra pochi mesi, e che avrà «due mamme». L’annuncio di tale iniziativa è stato dato attraverso il quotidiano Libertà, in una situazione già eloquente: a margine del Gay Pride a cui la prima cittadina stessa in questione ha preso parte.

A seguito di questa presa di posizione pro Lgbtqia+, come si diceva poc’anzi, le polemiche sono state forti e tempestive, anzitutto a livello politico. La consigliera comunale di Fratelli d’ItaliaGloria Zanardi, ha per esempio parlato di un «comportamento contrario alle previsioni normative (nonché giurisprudenziali) sulla registrazione all’anagrafe di minori quali figli di coppie omogenitoriali»; come la Zanardi anche altri hanno sollevato obiezioni analoghe. La sindaco Ferrari, però, non pare intenzionata ad alcun dietrofront.

Ora, anche tralasciando altri aspetti – come le polemiche sorte sempre su questo sindaco, perché durante il Pride cui ha preso parte ha sfoggiato la fascia tricolore, peraltro in compagnia del collega di Calendasco, Filippo Zangrandi – è difficile non leggere anche tale vicenda in un più ampio quadro di progressivo scivolamento arcobaleno, per così dire, di settori importanti del Paese; e non solo le istituzioni politiche – come mostra il caso, già ben noto ai lettori di Pro Vita & Famiglia, delle tante Diocesi (anche se non tutte, come mostra per esempio il virtuoso caso di Bari) che, semplicemente, non ritengono di dover prendere le distanze dinnanzi a “veglie Lgbt” che rischiano di essere seri assist proprio alle sigle arcobaleno e gender.

Certo, va detto che, se da un lato c’è una parte di mondo cattolico che pare non comprendere la gravità di iniziative che rischiano di offrire sponde all’ideologia gender, dall’altro ci sono cittadini – e sempre essere questo anche il caso di quella di Sarmato – che invece si rendono parte consapevole e attiva delle rivendicazioni Lgbtqia+. Emblematica, rispetto a questo, resta senza dubbio l’iniziativa tenutasi lo scorso 12 maggio nella cornice del teatro Carignano di Torino dove, con circa 500 partecipanti – di cui oltre 300 sindaci da tutta Italia, a partire da quelli delle maggiori città italiane - si è rinnovato l’impegno non solo alle trascrizioni di figli nati all’estero tramite l’utero in affitto, ma anche a richiedere il riconoscimento delle nozze e delle adozioni gay. Ricordiamo infatti la presenza dei sindaci Roberto Gualtieri (Roma), Beppe Sala (Milano), Gaetano Manfredi (Napoli), Stefano Lo Russo (Torino), Matteo Lepore (Bologna), Dario Nardella (Firenze) e Antonio Decaro (Bari).

Quel giorno a Torino c’è stato significativo presidio anche di Pro Vita & Famiglia, che è senza dubbio servito a ricordare a tutti quanti la forte connotazione ideologica di “La Città per i diritti”, che era il nome dato a quella iniziativa, appunto, tenutasi al Carignano. Il dato che più amareggia e colpisce, in tutto ciò che l’altro ieri è avvenuto nel capoluogo piemontese, che più recentemente è avvenuto nel Piacentino – e che rischia di avvenire a breve anche altrove -, è però che ci si mobiliti in favore delle rivendicazioni Lgbt asserendo che lo si fa per «garantire massime tutele ai minori».

Peccato che le tutele massime da garantire ai minori sarebbero ben altre. Quali? Anzitutto quelle di stare con la loro mamma, di conoscere e le proprie origini e, soprattutto, quelle atte a garantire di aver un padre e una madre. Nel momento in cui si mette fra parentesi tutto questo – in favore non già dell’interesse di figli, chiamato in causa a sproposito, bensì di quello delle coppie committenti e facoltosi – accade quindi solo una cosa: a prevalere non è certo la buona politica, bensì l’ideologia o, se si preferisce, il diritto del più forte. Che è esattamente il contrario di ciò che dovrebbe avvenire in uno Stato di diritto.

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