02/02/2021

Nuove direttive sul "Diritto all’aborto”. Posizioni retrograde o progressiste?

Inizierei con il precisare che ognuno di noi, in questo esatto istante, ha il diritto di esprimere il proprio dissenso o la propria approvazione sull’argomento perché qualcuno, anni fa, ha deciso di darci alla luce, se fossimo stati abortiti non saremmo mai nati e la nostra voce non avrebbe mai risuonato in questo coro.

Passerei poi con il ricordare che quando parliamo della RU486 non ci riferiamo ad una caramella dal gusto inconfondibile che apporta una ventata di aria fresca a chi la assume; si tratta, purtroppo per le donne e per i bambini, di una prima pillola di mifepristone che, bloccando il progesterone, ormone essenziale che protegge la gravidanza, uccide l’embrione in grembo, e di una seconda pillola, il misoprostol (normalmente utilizzato per patologie gastriche), che provoca contrazioni dolorosissime volte ad espellere, attraverso abbondanti e pericolose emorragie, l’embrione morto.

Forse questa pratica, descritta nella sua chiarezza, appare molto più traumatica di quanto i movimenti pro-choice vogliano illuderci di credere, senza contare che ovviamente la donna non subisce un’esperienza devastante soltanto dal punto di vista fisico, ma anche psicologico, poiché diventa lei stessa la piena autrice di questo incubo.

Dal momento che un farmaco può essere utilizzato allo scopo di “ripristinare, correggere, modificare funzioni fisiologiche” e, poiché la gravidanza non è una malattia (e tantomeno il figlio un virus) questa pillola ha lo scopo diretto di impedire la nascita di quel bambino.

Moltissimi vegani affermano che se entrassimo in un allevamento intensivo ci passerebbe la voglia di mangiare carne, poiché sicuramente le immagini forti di violenze inflitte agli animali rimarrebbero impresse nella nostra mente.

Vi invito pertanto, concordando pienamente sulla potenzialità dell’immagine visiva, a guardare video sulle assurde pratiche abortive, stavolta inflitte all’essere umano e non ad una scrofa; tali pratiche, considerate persino legali, permettono di rendersi effettivamente conto di ciò che accade, sia alla donna che subisce un  simile intervento, sia al bambino, perfettamente in grado di avvertire il dolore, anche se generalmente si preferisce asserire che si tratti di un grumo di cellule impassibili.

La scienza è oggi unanime nel riconoscere che la vita umana inizia al momento della fecondazione, quando la testa dello spermatozoo penetra all’ interno dell’ovocita e dà origine ad una nuova vita umana.

Dal momento del concepimento quindi, c’è un nuovo essere vivente appartenente alla specie umana, geneticamente distinto. Anche se considerassimo il frutto del concepimento una semplice “vita potenziale” non sarebbe comunque un atto di forza quello di interromperne la crescita?

Mediamente, il tempo che intercorre tra la scoperta di essere incinta e la decisione di recarsi in un ospedale per praticare l’aborto chirurgico, equivale almeno ad un mese e, sappiamo che già dalle prime settimane il cuore inizia a battere, a solo otto settimane può registrarsi attività celebrare e il cervello umano continua a svilupparsi anche dopo la nascita.

Per questo la scienza considera le fasi che portano uno zigote a definirsi feto come diversi stati dello sviluppo della vita umana, esattamente come lo sono l’infanzia, l’adolescenza e l’età matura.

Se poi il futuro nascituro fosse effettivamente un “parassita” come molti sostengono, il sistema immunitario materno dovrebbe attaccarlo per liberarsene, ma è evidente che accade esattamente l’opposto, proprio per consentire al bambino di formarsi e crescere nel grembo.

Molto spesso la principale argomentazione sostenuta dai pro-abortisti riguarda il diritto delle donne di poter decidere del proprio corpo, accusando i movimenti a favore della vita di ignoranza e prepotenza.

Sapendo però che il corpo del bambino nel grembo materno si caratterizza per un suo DNA, unico e distino da quello della madre, mi chiedo dove davvero si celi questa ignoranza e prepotenza. Non è forse immensamente egoistico e violento negare il diritto alla vita ad un essere impossibilitato a difendersi?

Gli stessi medici ex-abortisti, come il Dottor Anthony Levantino, affermano che durante gli aborti chirurgici il bambino cerca di ritrarsi alle indescrivibili pratiche. Questo dimostra l’innata propensione alla sopravvivenza di ogni essere umano, poiché, sì, nel grembo materno cresce giorno dopo giorno un essere umano, capace di percepire il pericolo ed il dolore. La verità è che un diritto non è un vero diritto se lo si applica solo a sé stessi e soltanto quando risulta più conveniente.

Un’altra convinzione riguarda il fatto che l’aborto sia in alcuni casi necessario per non mettere a repentaglio la vita della donna, ma anche questa argomentazione purtroppo si fonda sulla sabbia: vi sono situazioni in cui è necessario far nascere il bambino prima del tempo stabilito e questo accade in caso di condizioni veramente preoccupanti al livello medico per la salute della madre, come diabete, cancro, patologie cardiache e pressione sanguigna incontrollabilmente elevata.

In tutte queste situazioni non si pratica un aborto ma si agisce con una nascita indotta e prematura intorno alle 22-24 settimane di vita. In ogni caso l’obiettivo è salvare la vita del nascituro e proteggere la salute della madre, che verrebbe maggiormente esposta al pericolo se venisse attuata una procedura abortistica.

Ciò che più sconvolge è che quotidianamente bambini, in diverse parti del mondo, a quelle settimane di vita vengono abortiti, quando neonatologi, come la Dottoressa Kendra Kolb, se ne prendono diligentemente cura, riservandogli tutte le attenzioni di cui hanno pienamente diritto.

Se qualcuno dopo aver letto queste parole pensa che in Italia la legislazione sia decisamente più restrittiva rispetto all’America, o alla Nuova Zelanda, e che pertanto i movimenti pro-life dovrebbero soltanto accettare la realtà, senza portare avanti battaglie inutili, significa che evidentemente risulta più semplice continuare a consentire questo sterminio silente che interrogarsi e mettersi in discussione.

Non possiamo sostenere che se l’aborto non fosse legale si andrebbe ad alimentare un mercato nero e clandestino. Se una tale affermazione fosse promossa in un altro contesto, tutti ci scandalizzeremmo profondamente; immaginate che arrivi qualcuno e dica: “Io sono contrario al razzismo ma non posso negare agli altri il diritto di assalire un afro-americano, pertanto è meglio legalizzare questa pratica piuttosto che far finta non esista e lasciare che si verifichino aggressioni continue”.

Indubbiamente la logica sottostante ad un discorso di questo tipo fa raggelare il sangue, ma la verità è che infliggere sofferenza ad un essere umano non è ammissibile, tantomeno legalizzabile.

Il vero aspetto con cui ognuno di noi deve fare davvero pace è un altro, tutti nasciamo da un grembo materno e per buona parte della nostra vita dipendiamo totalmente da coloro che si prendono cura di noi, per permetterci un giorno di raggiungere l’indipendenza ed a nostra volta saper dedicare noi stessi agli altri.

 

di Michela Morgia

Articolo già pubblicato su il360.it

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