02/10/2020 di Giuliano Guzzo

Nuovo Codice della Strada. Anche qui entra in campo il diktat Lgbt

Dici Codice della Strada e subito pensi a indicazioni chiare, regole, cartellonistica luminosa, strisce pedonali, stop, limiti di velocità, guida e transito in sicurezza; insomma a quello che a che vedere con la vita di tutti i giorni di chiunque, per lavoro o per svago, si trovi a bordo di un’automobile, una motocicletta, una bici o anche semplicemente a piedi. A quasi nessuno però, pensando la Codice della Strada, verrebbero in mente questioni lontane anni luce come la lotta al sessismo o la promozione dell’identità di genere.

Eppure, nel testo unificato del nuovo Codice della Strada sui cui è al lavoro il nostro Parlamento - e tornato proprio in questi giorni in Commissione Trasporti, a seguito di alcuni rilievi giuridici del Quirinale – le forze di governo hanno pensato bene di infilarci proprio questo; tra le varie norme contenute nelle oltre 100 pagine del testo, infatti, pare esservi quella che, sulle strade come sui mezzi, vieta ogni forma di pubblicità se il messaggio è sessista, violento o propone stereotipi offensivi di genere, lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso, dell’appartenenza a gruppi etnici o che siano comunque discriminatori riguardo all’orientamento sessuale.

Ora, posto che chiaramente nessuno sano di mente è a favore di messaggi sessisti o discriminatori, sarebbe però opportuno definire bene quali esattamente sarebbero i contenuti riconducibili a stereotipi offensivi di genere, lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili o comunque discriminatori riguardo all’orientamento sessuale. Sì, perché come ormai dovremmo tutti ampiamente sapere, la nebulosità concettuale, la vaghezza, insomma l’indeterminatezza elevata a metodo è proprio uno degli assi della manica della cultura Lgbt per arrivare poi, nei fatti, a censurare l’immagine della famiglia composta da un padre o una madre, l’idea che esistano differenze sessuali tra maschio e femmina e via di questo passo.

Alla luce di questo – e del fatto che a pensar male si fa peccato ma spesso s’indovina, come disse una volta il cardinale Francesco Marchetti Selvaggiani riprendendo una frase papa Pio XI – non vorremmo mai che il nuovo Codice della Strada potesse rivelarsi, con le sue disposizioni, in qualche modo liberticida. Il riferimento è qui, nello specifico, al fatto che esso come già detto non disciplinerà soltanto la cartellonistica stradale ma anche quella sui mezzi. Di qui un dubbio: se io intendessi circolare con, sulle fiancate della mia auto o del mio furgoncino, un inno alla bellezza della famiglia naturale? Che cosa succederebbe, rischierei forse una multa?

Oppure, per fare un esempio ancora più concreto: con il nuovo Codice della Strada – e relativi divieti di stereotipi di genere, sessismo, ecc. -, potrebbe circolare ancora o meno il Bus della Libertà, ovvero il grande pullman arancione contrario all’ideologia gender che, l’ultima volta nel 2018, attraversò l’Italia con un messaggio stranamente giudicato da alcuni violento come «i bambini sono maschi» e  «le bambini sono femmine»? Non correrebbe, questo Bus, il rischio di apparire veicolo di deprecabili stereotipi offensivi di genere? Dal momento che, proprio come l’omofobia e la transfobia che il ddl Zan-Scalfarotto vorrebbe sanzionare (ma che nessuno si è mai preso la briga di definire in modo univoco), anche sul concetto di «stereotipi di genere» si addensa e permane una certa ambiguità, sarebbe opportuno che i nostri politici su questo facessero chiarezza.

Perché se poi, a lato pratico, lo scopo effettivo del nuovo Codice della Strada fosse semplicemente quello di metter il bavaglio alla cultura pro family, ecco, allora tanto vale tenersi quello vecchio per quanto vecchio e superato sia. Tutta la vita.

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