Il caso di Kim Davis, a cui l’obiezione di coscienza, in un Paese “libero” come gli Stati Uniti è costata la galera, non è rimasto isolato. E ha indotto alcuni a sollevare la domanda di rito:
“Ma perché invece di fare obiezione di coscienza, non si cambia mestiere?”
La cosa viene rinfacciata tradizionalmente ai ginecologi: gli abortisti sostengono che ai medici obiettori di coscienza dovrebbe essere preclusa la professione di ostetrico o di ginecologo.
Il ragionamento potrebbe valere anche per altre situazioni. Stranamente non vale per chi obietta al servizio militare, o per chi obietta agli esperimenti sulle cavie in laboratorio. Lì – guarda caso – l’obiezione di coscienza torna ad essere un diritto inviolabile dell’uomo. Se una guardia costiera obiettasse ad un ipotetico ordine di sparare sui barconi dei migranti disperati, ovviamente sarebbe – giustamente – insignito di medaglia d’oro. Anche in questo caso (assolutamente ipotetico e decisamente non auspicabile) il diritto fondamentale ad obiettare non si discuterebbe... La palese incoerenza, quindi, di chi vuol negarlo agli operatori sanitari, però, non merita qui altra considerazione.
Andiamo a ragionare sul caso di Kim Davis (o del funzionario francese): l’impiegata che rifiuta di apporre la sua firma, che vale come approvazione – e questo è importante – sulla licenza matrimoniale di due persone dello stesso sesso.
Prendiamo da un articolo di Catholic Culture qualche altro esempio:
1 – Un ingegnere che deve approvare la sicurezza di un edificio costruito secondo nuove regole o con nuovi materiali che lui ritiene pericolosi: se non riesce a convincere i suoi superiori dovrebbe dare le dimissioni. Non può approvare la costruzione, anche se rispetta le regole, secondo la sua coscienza ne sarebbe comunque responsabile.
2 – Un boia: si converte, comincia a credere che la pena capitale sia immorale. Deve cambiare necessariamente lavoro.
3 – Un professore di matematica: in base a nuovi programmi ministeriali deve insegnare che 2+2=5. O accetta, o cambia mestiere.
Il caso n.3 è molto diverso dagli altri due dove c’è un elemento soggettivo determinante. Nel terzo caso c’è un dato oggettivo che impedisce all’insegnante di farsi da parte e lasciare che altri insegnino ai ragazzi cose assurde. La stessa cosa vale per Kim Davis e per i pubblici funzionari che sono chiamati a dire: “Sì, queste due persone si possono sposare”. Il dato naturale e oggettivo, l’essenza del matrimonio, è totalmente incompatibile tra due persone dello stesso sesso.
Insistere a voler chiamare matrimonio (o nella sostanza considerare tale, anche se con nome diverso) una convivenza tra due soggetti neanche teoricamente idonei a procreare è una contraddizione in termini, è oggettivamente una menzogna.
Non si può costringere una persona libera, in un Paese libero, a mentire. Il matrimonio tra maschio e femmina è un fatto, non un’opinione soggettiva. Un dato di fatto naturale che risale agli albori della civiltà. La questione non è neanche religiosa. Non sono le religioni a definire il matrimonio è la natura procreatrice dell’unione.
E’ al di sopra del potere della legge ridefinire il matrimonio. Perché la legge non può cambiare la realtà oggettiva dei fatti. Laddove i giudici o i Parlamenti abbiano tentato, il fatto resta. Ma qualsiasi convivenza di qualsiasi tipo può diventare protetta dalla legge o ... vietata! Perché se è la legge che decide che cosa è il matrimonio, sarà la legge a decidere anche cosa non lo è: ogni rapporto sociale entrerà nell’arbitrio del legislatore.
A maggior ragione, l’operatore sanitario, che nasce e esiste da sempre per curare, non può essere costretto a togliere la vita a chicchessia. Né – in un Paese che tuteli i diritti umani fondamentali – si può vietare a chi rifiuta l’aborto e l’eutanasia di curare le persone.
E che l’aborto (anche il primo giorno dopo il concepimento) spenga una vita umana è un dato di fatto oggettivo, reale, inconfutabile.
Francesca Romana Poleggi
DIFENDIAMO I BAMBINI E LA FAMIGLIA DALLA LEGGE CIRINNA’