La parola d’ordine è normalizzare. Perché ormai lo abbiamo capito da tempo, in gioco non c’è una questione di “rispetto”, come vorrebbero farci credere, ma la semplice imposizione di un pensiero che si vesta di tolleranza, ma non ammette repliche.
Stiamo parlando della giornata mondiale contro l’omotransfobia, che, anche questo 17 maggio, ha riempito l’agenda mediatica, di tutte le reti televisive e canali radio, attraversando le pagine di molte testate, soprattutto online: un vero e proprio rigurgito di informazioni, discorsi “edificanti” e panegirici sulla “bellezza della diversità”. Una facciata di buone intenzioni, dietro le quali si nasconde semplicemente un pensiero preciso che rifiuta i significati del corpo e colpisce al cuore matrimonio e famiglia.
Ed ecco che Repubblica colora la sua testata di arcobaleno e lo stesso vale per altri marchi e brand, soprattutto del suo stesso gruppo editoriale, come La Stampa e L’Espresso. Un’attenzione spropositata, anche dal punto di vista dell’immagine, soprattutto se la paragoniamo ad altre giornate mondiali o altri casi di “emergenze”. Pensiamo alle giornate dedicate alla famiglia, ai bambini, a gruppo o categorie come cristiani, ebrei e così via. Avete mai visto un brand o una testata colorata di un qualche colore? Con qualche simbolo in solidarietà di qualcuno o qualcos’altro? Ovviamente no.
Il motivo è presto detto: il vero scopo è un bombardamento ideologico a tappeto che porti alla normalizzazione o meglio al livellamento di qualunque orientamento sessuale, eliminando qualunque riferimento al reale che possa determinare anche la minima forma di dissenso. E siccome il gender, come sappiamo, si basa su una banalissima balla scientifica, allora, siccome non è possibile alcun tipo di disquisizione che abbia la scienza e la natura come punti di riferimento, si può procedere solo con un martellamento ideologico senza fine, fino a farlo passare come verità assoluta.