Non faranno prigionieri, non vi saranno santuari: con l’accusa di omofobia, a causa della eterofobia e dell’omofilia dilaganti, finiremo tutti nelle catacombe, o peggio.
... o forse ci sono delle alternative?
I lettori di ProVita conoscono la storia di Don Pusceddu, il giovane sacerdote cattolico impegnato nella diocesi sarda di Cagliari. In occasione di un’omelia dedicata alla difesa del matrimonio naturale, ha citato la lettera di S. Paolo ai Romani dove l’Apostolo condanna gli atti omosessuali (Rom 1, 24-32).
Il giorno seguente l’uccisione di 49 persone nel locale gay di Orlando è stata lanciata una petizione on-line che ha raggiunto 31.000 firme in 4 giorni – ora sono a 44.806 – rivolta a Papa Francesco e alle autorità nazionali politiche italiane per ottenere le “dimissioni immediate” di don Pusceddu. Ciò che ha particolarmente innescato la reazione contro il sacerdote è stata la citazione della frase paolina «Tutti coloro che commettono tali cose meritano la morte», che ha raggiunto i titoli sui media ed è stato usata come prova del sostegno all’uccisione di persone con tendenze omosessuali. Don Pusceddu ha immediatamente precisato che S. Paolo – e lui stesso – intendevano la morte spirituale, ma è stato inutile, la cagnara non è cessata.
Se il giovane sacerdote si aspettava un cenno di solidarietà pubblica dal suo vescovo, posso immaginare la sua delusione nel non riceverne alcuno. Al contrario il 22 giugno il vescovo, monsignor Arrigo Miglio, ha rilasciato una nota dove ha sconfessato la condotta di don Pusceddu ed ha domandato perdono «a tutti coloro che si sono sentiti feriti» dalle parole del sacerdote. Secondo il vescovo il brano era «estrapolato dal suo contesto e dall’insieme dell’insegnamento paolino» ed ha portato così a «gravi fraintendimenti e ha falsato anzitutto il pensiero di san Paolo che, nella stessa Lettera (c. 5 e 8), proclama senza ombre la Misericordia di Dio». In aggiunta ha ordinato a don Pusceddu di «osservare un congruo periodo di silenzio totale».
Da allora il canale YouTube di don Pusceddu risulta “temporaneamente sospeso”. All’inizio il comportamento del vescovo mi ha ricordato ciò che una volta Hamish Fraser, citato da Anne Roche Muggeridge in The Desolate City, ha detto: «Con pastori come questi i lupi diventano superflui». Ma forse è soltanto l’effetto di una nuova forma di sindrome di Stoccolma che potremmo chiamare “omofilia interiorizzata”. Inoltre l’avvocato Kathy La Torre è volata da Bologna al paese di Decimoputzu dove don Pusceddu è parroco, per denunciare il sacerdote accusandolo d’incitamento all’odio[3].
Questo fatto, al pari di molti altri, ci riporta ciò che Alexis de Tocqueville intendeva quando descriveva la tirannia in una repubblica democratica come il posto dove il signore dice «Non ti toglierò la vita, ma la vita che ti lascio è peggio della morte». Dopo l’espulsione del pensiero cristiano ortodosso dallo spazio pubblico, ciò che sembra prossimo ad essere espulso sono le persone di coloro che continuano a credere nel tradizionale sistema morale giudaico-cristiano. Pertanto con la complicità attiva o passiva dei protestanti e cattolici che seguono la scia, rimaniamo con tre possibilità: un comportamento sul lavoro coerente con la nostra fede cristiana che ci porta ad essere multati, licenziati e incarcerati, oppure impegnarsi soltanto in attività “a basso rischio” ed abbandonare le nostre legittime aspirazioni, o arrendersi, disincarnare la nostra fede e sottomettersi alla signoria del moderno Leviatano.
Il grosso problema è che la lista delle occupazioni a rischio di persecuzione diventa ogni giorno più lunga. Non è un mito, è la cronaca di tutti i giorni. Medici, infermiere e ostetriche sono a rischio perché l’aborto legale è considerato un “diritto umano”, così come i farmacisti con le richieste di farmaci post-coitali, i giudici e le organizzazioni benefiche devono affrontare l’adozione delle coppie dello stesso sesso, pasticceri, fiorai, fotografi, tipografi, sarti, albergatori, ristoratori con l’industria delle nozze gay, gli impiegati comunali con i matrimoni omosessuali, i presidi con i regolamenti transgender, i genitori con i programmi di educazione sessuale, giornalisti, scrittori, insegnanti, professori e sacerdoti con le leggi contro i le espressioni di odio. Tutte queste attività ci pongono a rischio se, come credenti cristiani ortodossi, costituiamo una minaccia a così tanti diritti umani moderni.
Dunque non abbiamo molte scelte per fare il nostro lavoro in pace con le nostre coscienze. Giovanni Guareschi nel suo racconto Don Camillo e Don Chichì fa rispondere il crocifisso a don Camillo che sta domandando al Signore cosa fare col vento di pazzia secolarista: «Devi fare ciò che il contadino fa quando il fiume supera gli argini e invade i campi: devi salvare il seme». Per Guareschi il seme rappresenta la fede.
In un famosissimo paragrafo del Ritorno del Re Tolkien scrive che è nostro compito «estirpare il male dai campi che conosciamo, affinché quelli che verranno possano avere terra buona da coltivare».
Abbiamo dunque seme da conservare e campi da proteggere. Il primo necessita qualche forma di separazione dal mondo, il secondo richiede un contatto in combattimento. Dopo la decisione nel caso Obergefell da parte della corte suprema USA, dopo la multa[4] applicata da un tribunale belga ad una casa di riposo cattolica che si è rifiutata di consentire l’eutanasia di una ricoverata, dopo la vittoria della riforma costituzionale per consentire il matrimonio gay in Irlanda, dopo che la legalizzazione dell’aborto e del matrimonio gay sono diventati quasi ubiquitari in Sud America ed Euopa, inclusa l’Italia, dove il papato ha la sede, ci troviamo come una minoranza sull’orlo della persecuzione.
Ciò che segue è “cosa facciamo?”. Mi pare che il tempo che ci vedrà spinti ad una decisione drammatica si sta avvicinando con rapidità inattesa. In assenza di un intervento sovrannaturale, in quanto credenti dovremo affrontare l’aggressività di quella che Mary Eberstadt ha chiamato[5] la fede secolare in competizione spostandoci dalla teoria alla prassi e scegliere tra la cosiddetta “opzione Benedetto”[6] e forme progressivamente più avanzate di resistenza passiva e attiva.
Sebbene non siano necessariamente opzioni alternative, un coordinamento è necessario. Proseguire su questa strada temo possa portarci alla “opzione catacombale”. Ad ogni modo, qualsiasi sia la strada scelta, penso dovremo accettare due realtà ineludibili. Dal momento che l’attacco è su scala planetaria, dovremo unire gli sforzi e cooperare per fornire risposte globali. Non ci dovremo attendere né consigli, né sostegno dalla Chiesa in quanto istituzione sociale. La Chiesa Cattolica è un’entità teologicamente divisa e forse ricattata. Il corpo mistico di Cristo è percosso e piagato da una piaga purulenta metastatica non diagnosticata e non curata. Mi aspetto che vi saranno santi vescovi, sacerdoti, frati e suore che ci sosterranno, ma l’organizzazione gerarchica nell’insieme rimarrà ferma e silente, nel migliore dei casi. Sarà qualcosa che i laici decideranno e realizzeranno da soli discutendo e pregando insieme.
Renzo Puccetti*
*Docente incaricato di Bioetica al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum e al Pontificio Istituto per Studi su Matrimonio e Famiglia a Roma.
[2] Sito della Diocesi di Cagliari
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