Pubblichiamo un’intervista a Giorgio Ponte, brillante scrittore milanese autore della commedia romantica Io sto con Marta, edita da Mondadori. Un uomo con tendenze omosessuali, ma non accecato dall’ideologia omosessualista e che ha sperimentato la libertà nella verità...
È salito alla cronaca per la coraggiosa scelta di scendere in campo su un terreno minato come quello legato alle politiche sociali per i diritti delle persone omosessuali: la sua testimonianza ha avuto eco sulle testate giornalistiche di tutto il mondo. Per molti scomodo, cavalca controcorrente quello che è il pensiero comune dominante, trovando il consenso di numeri crescenti e sempre maggiori di persone con tendenze omosessuali.
L’intervista ci è stata inviata dall’Associazione Lerici Domani, che ringraziamo di vero cuore.
“La verità rende liberi”
Ti definisci una persona con tendenze omosessuali: come mai non semplicemente omosessuale o gay?
Io non dico mai di essere omosessuale o gay perché l’omosessualità non è un’identità, in quanto mutevole e non innata. Fondamentalmente quella che oggi viene identificata, etichettata, come identità omosessuale, è un’attrazione per persone dello stesso sesso che ha delle ragioni psicologiche. Quello che ho potuto vedere nella mia esperienza e in quella di centinaia di altre persone è che al cuore del desiderio omosessuale c’è, il più delle volte, un deficit di identificazione e relazione con il proprio sesso di appartenenza. Le ragioni che hanno portato a questo deficit possono essere molto diverse per ogni persona, e mai banalizzabili con uno schema di causa-effetto, alla stregua di un problema matematico dove A+B darà sempre C. Tuttavia, quale che sia il sistema di fattori che ha generato questo desiderio, di base nella relazione omosessuale si cerca di ristabilire un rapporto mancante con quel mondo maschile (nel caso di un uomo) nel quale non ci siamo riconosciuti per come avremmo voluto. In altre parole, inconsciamente ricerchiamo negli altri uomini, ciò che non riconosciamo in noi stessi. Questo desiderio di identificazione diventa così forte che diventa sessuale. Quando si riesce a smascherare il meccanismo che è alla base dell’attrazione per lo stesso sesso, è possibile rispondere al proprio bisogno di identificazione in un altro modo, attraverso rapporti affettivi profondi, paritari e non erotizzati con altri uomini. Questo corrisponde talmente al nostro bisogno reale, da poter, in alcuni casi, portare anche alla sparizione dell’attrazione per lo stesso sesso. Per tutte queste ragioni, di me non posso dire altro che questo: sono un uomo con tendenze omosessuali. Non mi identifico in una categoria a parte, né penso di appartenere a un’umanità “alternativa”, poiché la mia natura è la stessa di ogni altra persona, quella umana, e in quanto tale essa è differenziata solo nel suo binomio maschile o femminile e non in base ai propri desideri sessuali.
Alcune teorie, tra cui quella di Kinsey, sostengono che omosessuali si nasca, tu cosa ne pensi?
In realtà Kinsey teorizzò che la maggior parte delle persone nascesse di base bisessuale, avendo visto una diffusa oscillazione delle preferenze sessuali nei suoi campioni. Tuttavia il rapporto Kinsey fondamentalmente è una analisi statistica della quale lui interpreta i dati secondo una teoria.
Infatti nelle Scienze non esatte, di cui la psicologia fa parte, lo stesso dato può essere letto in modi diversi, persino opposti, a seconda del criterio di interpretazione che si utilizza. Ciò che accredita maggiormente una teoria rispetto a un’altra è la maggior coerenza logica dei dati statistici e dell’esperienza empirica, confrontati con la teoria stessa. Eppure questo non basterebbe a rendere quella teoria vera in assoluto. Solo più plausibile. Ad esempio, sull’omosessualità la teoria più diffusa, dagli anni ’70 in poi, afferma che omosessuali si nasca. Ma questa teoria non spiega l’esperienza mia e quella di moltissime altre persone in tutto il mondo che hanno sperimentato cambiamenti sensibili e talvolta totali dell’orientamento.
Al contrario l’idea che l’omosessualità sia uno dei segni possibili di un problema sommerso di identità, spiega in modo molto più coerente sia l’esperienza di chi cambia, sia quella di chi non cambia. Ho conosciuto più di una coppia di gemelli con lo stesso patrimonio genetico, nelle quali uno era omosessuale e l’altro no. In Australia uno studio condotto su 25.000 casi di coppie di gemelli omozigoti ha rilevato la stessa cosa, dimostrando come non esista una responsabilità genetica dell’orientamento sessuale, e smentendo di fatto le teorie secondo le quali l’omosessualità sarebbe una condizione innata. Kinsey in realtà prese atto di un dato reale e cioè che l‘orientamento sessuale può subire delle variazioni, ma questo lo dice anche Nicolosi, lo dico io e la vita di tante persone. Ciò che è interessante capire è il perché. Di fatto se riconosciamo che l’orientamento sessuale può essere condizionato e subire delle modifiche è evidente che vi sono delle ragioni che ci spingono verso questo cambiamento, che non possono essere di semplice preferenza, al pari di come si sceglie un gusto di gelato piuttosto che un altro.
Come è stato fare coming-out?
A me non piace tanto chiamarlo cosi. Il coming-out è una dichiarazione nella quale tu vai dalla tua famiglia o dalle persone vicino a te e dici loro di “essere” omosessuale. Chi lo propone sono i movimenti LGBT. Serve per soddisfare un bisogno di riconoscimento che pure ha la sua importanza. Il fatto di poter dire alle persone che vivono vicino a te “io vivo questa situazione” certamente combatte la nevrosi del segreto, delle paure, del sentirsi giudicati. Infatti un pensiero di fondo che affligge spesso chi ha tendenze omosessuali è: “Se le persone che mi vogliono bene sapessero la verità, non mi amerebbero allo stesso modo”. Ma questa è una bugia. Poiché chi ti ama davvero ti ama con tutta la tua storia, altrimenti non ama te, ma una tua immagine riveduta e corretta. Premesso questo, io non ho fatto coming-out. Non ho mai fatto una “dichiarazione”, tranne con le persone che conoscevo da tantissimo tempo e con le quali, avendo negato in passato la questione, era necessario che ci fosse un chiarimento. Semplicemente, a un certo punto ho deciso di smettere di nascondermi. Da un certo momento in poi ho dato per scontato che le persone sapessero della mia attrazione e quindi con la stessa libertà con cui avrei parlato di una ex ragazza, io parlavo del mio ex ragazzo e delle cose che vivevo. Anche quando ho deciso di parlarne con i miei non l’ho fatto per il bisogno di essere riconosciuto da loro. Ero tornato dal seminario di Luca di Tolve con la consapevolezza di quali erano le ferite che mi portavo dietro legate al rapporto con loro, e le ferite che a livello familiare ci portavamo dentro tutti quanti, sia noi figli che loro genitori. Avevo bisogno di raccontargli la mia storia per poterli aiutare ad essere liberi, per poter sanare quelle ferite. Non ero lì per cercare di affermare me stesso, ma ero lì per liberare sia me che loro, riportando alla luce tutto il dolore che ci portavamo dentro come famiglia e di cui nessuno parlava. È stato un dono. Potere dire il male che involontariamente era stato fatto a me e ai miei fratelli, così come ai miei genitori da parte dei loro genitori, ci ha permesso di perdonarlo. Nessuno ha avuto reazioni di fastidio o di choc. Più che altro è stato bello sentir emergere questo dolore e sentire che si scioglieva. Davvero la Verità rende liberi.
In merito alle teorie di genere, l’ultima tendenza è il genere fluido. L’idea che il nostro corpo sia una gabbia. Tu cosa pensi a riguardo?
Oggi viene considerata “gabbia” qualsiasi cosa rappresenti un limite al nostro desiderio. La natura stessa, in questo senso, è la più grande delle gabbie, nell’espressione del nostro corpo sessuato, maschile o femminile. Se sono maschio, non posso essere femmina e questo qualcuno lo considera ingiusto. Per questo motivo il corpo è stato reso un accessorio a prescindere dal quale, e non più nel quale, possiamo autodeterminarci. Il fraintendimento di fondo sta nel considerare l’ordine, prima di tutto l’ordine naturale, come una forma di costrizione. Da qui nasce una visione negativa di ogni tipo di ordine, morale, civile e religioso. Alcuni genitori in buona fede, colpiti da questa propaganda ideologica, arrivano a pensare che il bambino confuso sulla propria identità sessuale o che non riconosca pienamente la sua identità sessuale e sessuata, non debba essere aiutato a riconoscerla, quanto lasciato libero di deciderla. Senza alcun tipo di guida. Sul piano esperienziale è come chiedere a un tenore di imparare a riconoscere la sua tonalità di voce e a usarla pienamente senza mai avere sentito una canzone o avere qualcuno che gli mostri la differenza tra i diversi registri. Se poi, avendo ascoltato per caso il pezzo di un basso, egli decidesse di cantare (malissimo) in quel registro, secondo questo approccio bisognerebbe assecondarlo dicendogli che se quello è ciò che vuole, quello è ciò che è: lui è un basso anche se il suo corpo, la sua voce, dicono il contrario. Trasposto sul piano sessuale, questo è il cuore delle Teorie di Genere (in inglese: Gender Theories): il genere viene staccato dal sesso biologico e diventa un puro costrutto mentale e culturale. Sei ciò che pensi di essere. Da qui la conseguenza del genere fluido, una follia antropologica che sta privando generazioni intere della propria identità.
Negli Stati Uniti [e non solo, ndr] molti vip rispondono a questa moda assecondando i loro figli con la somministrazione di ormoni atti a bloccare lo sviluppo fisico, in attesa che loro possano “scegliere” cosa essere. Perché secondo te?
Vi sono due fattori che condizionano un genitore oggi a fare un tipo di scelta estrema come questa. Il primo è la cattiva informazione secondo cui aiutare il figlio a riconoscere ciò che il suo corpo dice di lui sarebbe un modo per costringerlo in una realtà che gli è imposta, privandolo della libertà. Il secondo fattore che alimenta questo meccanismo è la deresponsabilizzazione. Un genitore che si trovi a confrontarsi con un figlio con un problema di identità dovrà porsi delle domande sul perché egli viva questa situazione, e quindi anche chiedersi quale sia stato il proprio ruolo nella faccenda. Perciò è molto più facile dare una pillola per bloccare lo sviluppo sessuale. Si cerca di sfuggire al senso di colpa che scaturirebbe dal prendere atto di essere in parte responsabili, con una soluzione facile che metta a tacere ogni rimorso. Per questo è importante comprendere la differenza fra colpa e responsabilità. La responsabilità, diversamente dalla colpa, non implica necessariamente una volontà di far male. Non bisogna riconoscere il male che si può aver fatto per trovare il colpevole, ma per agire su quel meccanismo e sanarlo. Per questo è necessario che la coppia che si trova ad affrontare una situazione simile con il proprio figlio resti unita, facendo sentire prima di tutto accolto e amato il ragazzo senza mai stigmatizzarlo, ma facendo al tempo stesso un lavoro su se stessi, magari sostenuti da un esperto.
Pensi che dietro queste teorie si celi in realtà un business?
Sicuramente ci sono degli interessi economici forti. Basti pensare a tutto l’indotto sul cambio di sesso: ormoni, farmaci, protesi, operazioni… tutte cose che si pagano e fanno girare un sacco di soldi. Anche i giri di affari della maternità surrogata e dello stesso matrimonio gay. Nell’epoca storica in cui il matrimonio in assoluto conta meno a livello sociale, paradossalmente il matrimonio gay diventa un simbolo da difendere. Questo perché non interessa più a nessuno la funzione sociale del matrimonio, l’impegno della coppia alla fedeltà che garantisce la stabilità sociale e la difesa delle nuove generazioni. Esso è necessario che sopravviva formalmente solo per i suoi aspetti più superficiali redditizi: la cerimonia e il divorzio. Allargarlo alle coppie gay, da questo punto di vista, significa creare nuove nicchie di mercato. È come il Natale: è importante che la festa resti perché alimenta il commercio, ma a nessuno interessa più del suo significato profondo. Detto questo, gli interessi economici sono solo una parte del problema. C’è un desiderio antropologico diffuso e indotto che mira a trasformare la nostra società, in una società adolescenziale: senza regole, impegni e con l’unico interesse comune della soddisfazione dei propri desideri personali. I gay a livello di immaginario collettivo sono l’incarnazione di questo ideale sregolato, anche oggi, nonostante le numerose rappresentazioni “parafamiliari” che di essi fa ultimamente il cinema. Per questo i “diritti gay” fanno comodo a tutti, anche a chi non ha tendenze omosessuali. Perché tutti oggi desiderano vivere una sessualità e una relazionalità che sia svincolata da regole. Molti pensano “se lo possono fare loro, lo possono fare tutti”. Se tutto è permesso infatti, anche sposarsi con una persona del proprio sesso, ogni desiderio è realizzabile.
Papa Francesco, nella sua famosa intervista sull’aereo ha dichiarato: «Chi sono io per giudicare un omosessuale?». Ti sei mai sentito discriminato dalla Chiesa?
Innanzitutto riportiamo la frase corretta: «Chi sono io per giudicare un omosessuale che ha buona volontà e che sta cercando Dio?». È la seconda parte della dichiarazione che dà senso alla prima. Detto questo io non mi sono mai sentito discriminato dalla Chiesa per le mie inclinazioni sessuali. Infatti la tendenza omosessuale, come ogni altra inclinazione, per la Chiesa non costituisce di per sé un peccato. Molti però non hanno avuto la stessa grazia di essere accolti in Verità, come è accaduto a me. Alcuni aprendosi con qualche sacerdote si sono sentiti additati e condannati, altri invece sono stati accolti, ma in direzioni molto diverse da quelle della Chiesa e simili a quelle dei movimenti LGBT, secondo un modello antropologico che nulla ha a che vedere con quello cristiano e in nome di un buonismo che non ha fatto altro che generare confusione in tanti. Noi saremmo nati così e quindi in quanto nati così, saremmo sostanzialmente esenti da una chiamata alla castità che riguarda ogni altro uomo sulla terra, e che nel nostro caso significa anche continenza. Se questa è la nostra natura, infatti la richiesta della Chiesa sarebbe una violenza assurda. Ma se invece l’omosessualità è il frutto di una nostra ferita emotiva, allora tutto ha senso. Per questo è importante, per una adeguata pastorale, cercare di capire prima che cosa sia l’omosessualità. È da lì che parte tutto. In ogni caso, sono stato certamente molto più stigmatizzato ed emarginato da chi si dichiarava gay per il fatto di essere cattolico, che non dai cattolici per il fatto di avere tendenze omosessuali.
Quali interessi muovono i gruppi LGBT più aggressivi?
A livello umano chi guida questi gruppi è molto cosciente di ciò che fa e di come strumentalizzare i bisogni delle persone, le loro ferite, le loro paure. Il senso di persecuzione, di inferiorità e di disagio è infatti spesso correlato al desiderio omosessuale, a prescindere da quanto effettivamente un individuo sia stato o meno perseguitato. Tutto nasce da un non pieno riconoscimento della propria identità sessuale che non ci fa sentire all’altezza del mondo a cui dovremmo appartenere, maschile o femminile. Magari molti di noi sono stati effettivamente ridicolizzati o additati da piccoli per qualche debolezza, e questo ha alimentato un’immagine distorta di noi stessi che si è mantenuta anche quando da adulti non avevamo più qualcuno che ci ridicolizzava.
Negli anni l’autostima lesa ci ha fatto interiorizzare l’idea di essere inferiori e che il mondo fosse contro di noi. I gruppi LGBT alimentano questo vittimismo e senso di inferiorità, invece di aiutare i loro associati a riconoscere la menzogna che si cela in esso. In questo modo si genera tutta l’aggressività e il bisogno di ostentazione che spesso vediamo. Poiché, come dicono al percorso delle Dieci Parole, “chi si sente vittima prima o poi diventa carnefice”.
Maria Teresa Armanetti