Considerare la persona più che le cose, è una delle basi della convivenza civile e pacifica.
Questo concetto è intimamente connesso con la definizione di vita e di morte. Sì: anche di morte. Se si abbandona la definizione di morte come concetto biologico, per considerarla un fatto sociologico, si apre la porta alla cosificazione e allo sfruttamento della persona, a discapito ovviamente dei più deboli e vulnerabili.
Si interroga su questi temi il bioeticista Wesley J.Smith, che ha recentemente pubblicato con l’editore Paperback il saggio Culture of Death: The Age of “Do Harm” Medicine [Cultura della morte: l’epoca della medicina che fa del male].
Se la nozione di morte può essere ‘ridefinita’, nel senso che in bioetica alcuni stanno tentando, come ‘cessazione dell’essere persona’, allora si spiega anche perché il nascituro si può sopprimere, non essendo ancora ‘persona’; e chi per infortunio o malattia ha perso la capacità di esprimere la sua personalità, può essere considerato morto, o – meglio – una cosa, un oggetto disponibile, ad uso e consumo di chi ne ha bisogno (e di chi ha il potere di disporne).
Questo è un problema discusso in bioetica, che merita d’essere divulgato anche per la conoscenza del pubblico dei non addetti ai lavori. Bisogna sviluppare le capacità critiche per difenderci da ciò che le élite dei bioeticisti alla moda vorrebbero imporci. Leggiamo, per esempio, su un articolo il cui titolo in italiano suona La morte di esseri umani del bioeticista N. Emmerich: “Quando diciamo che qualcuno è morto, non significa che non ha più le funzioni di una certa entità biologica. Vogliamo dire che la mente unica di una persona , intesa come un fenomeno cognitivo o entità psicologica, ha cessato di esistere. Essendo la morte un concetto non biologico, il concetto di personalità consente di capire cosa è vita e morte, secondo il significato ordinario di questi termini”.
Dovremmo riflettere molto seriamente sulle conseguenze di questo ragionamento. La morte è sempre stata intesa come la fine biologica irreversibile dell’organismo, la fine della vita. Si vuole passare alla definizione di morte come concetto sociologico, soggettivo, che indica la cessazione delle capacità più rilevanti della personalità. Già: ma quali? E quanto? Chi lo decide?
Se passa questo concetto, individui vivi possono essere considerati morti e quindi oggetti da sfruttare e utilizzare come si fa con i cadaveri. Non più persone, ma cose.
Questo vorrebbe dire non solo il dare via libera al prelievo indiscriminato di organi dai pazienti in stato comatoso persistente, o di minima coscienza. Ma questo giustificherebbe anche gli esperimenti sui corpi vivi, come del resto già si fa sui minuscoli embrioni.
E perché non sui feti? E sui neonati? Del resto i neonati non hanno ancora raggiunto la consapevolezza di sé ritenuta necessaria per definire il soggetto una persona, secondo la definizione citata prima (già ci sono dei bioeticisti che lo scrivono sulle riviste scientifiche e lo sostengono in pubbliche lezioni universitarie).
Un neonato gravemente handicappato, per esempio anencefalico, è un organismo umano vivo, intendendo la vita in senso biologico (zoé, in greco). Tuttavia, non potrà mai avere una vita in senso sociologico (bios). Che ne possiamo fare? Lo possiamo “usare”?
La vita – è indiscusso e indiscutibile – comincia al momento del concepimento. Ma dobbiamo distinguere tra l’inizio della vita biologica dall’inizio della vita sociologica? E allora quando è che il feto diventa un soggetto, e non solo un oggetto, della vita? E un neonato sano, quando acquisisce capacità relazionali? Stesso discorso vale per stabilire il momento in cui la vita finisce.
La questione non si risolve facilmente. Anche con la morte cerebrale, la vita del cervello umano e /o della mente umana resta una nozione molto dibattuta. Tuttavia le difficoltà concettuali si possono superare se solo si respingesse tout court qualsiasi distinguo: la morte è assenza di vita. La persona è di chi nasce da esseri umani, dotata di “natura umana”. Il resto è vita animale o vegetale. Quando la vita cessa, biologicamente parlando – inizia la decomposizione dell’organismo – c’è la morte.
Cambiare il concetto di morte biologica in morte sociologica apre la porta al male profondo.
Alba Mustela
Fonte: Human Exceptionalism