Cosa si intente quando si parla di “persona”? E cosa si nasconde dietro la cultura che parla di persona “in potenza”? Si tratta di concetti considerati astratti, ma che in realtà sono di primaria importanza e rimandano alla dignità insita in ognuno di noi.
Qualche anno fa fece scalpore un articolo apparso sul Journal of Medical Ethics sull’aborto postnatale. La tesi degli autori era questa: se tanto il feto quanto il neonato non sono altro che persone “in potenza”, allora uccidere un neonato deve essere eticamente accettabile in tutti i casi in cui lo è l’aborto del feto. Anche il linguaggio, si suggeriva, dovrebbe essere modificato in tal senso: una pratica come questa dovrebbe piuttosto essere chiamata «aborto postnatale» anziché «eutanasia infantile».
Sono tesi note. Negli ultimi anni si è imposta infatti la tendenza (con Derek Parfit e Peter Singer) a distinguere tra «uomo» e «persona». Solo la persona – secondo i sostenitori di questa tesi – ha dei diritti, non gli uomini in quanto tali. Così si creano due classi sociali, dove la prima (quella delle «persone») esercita un dominio assoluto sulla seconda (gli «uomini») privandola di ogni diritto, a cominciare da quello fondamentale: il diritto alla vita.
Una tale deriva, da sola, dovrebbe suggerire quale pericolo si nasconda per ogni essere umano, nessuno escluso, dietro alla tesi che sostiene l’esistenza di «persone potenziali». Chi sostiene che una persona è tale solo in potenza vuole dire che non è ancora persona in atto, cioè che non avendo ancora la «forma» della persona questa può essere trattata come una cosa.
Qui però si confondono cose molto differenti come la potenza e la possibilità.
Un esempio può aiutare a cogliere questa differenza. In un ufficio postale c’è possibilità di un cavallo? Certamente, basta che qualcuno lo porti al suo interno – magari scusandosi coi presenti per l’imbarazzo loro arrecato da questa insolita irruzione. Però questa possibilità non comporta alcuna potenza, perché tra i presenti non c’è alcun soggetto esistente che possa diventare un cavallo. C’è però potenza di un deputato del parlamento, perché qualcuno dei presenti potrebbe candidarsi alle elezioni, essere eletto e diventare perciò deputato. È vero: in passato c’è stato chi – come, pare, l’imperatore Caligola – ha cercato di prospettare al proprio cavallo una promettente carriera politica. Ma di questi tentativi – e dei loro proponenti – non si è mai detto un gran bene…
La differenza comincia a essere chiara. La possibilità è sempre astratta, è la non impossibilità, la semplice non contraddittorietà. Non è impossibile che un giorno il povero impiegato delle poste entrando in ufficio trovi un cavallo ad aspettarlo. Ma è impossibile che l’impiegato delle poste si trasformi in un cavallo, e viceversa.
La potenza è appunto questo: la possibilità concreta, per un soggetto esistente, di essere trasformato.
Ora, sostenere che un feto umano è una persona in potenza equivale a dire che un feto umano potrebbe diventare qualcosa di non umano. Evidentemente è un’assurdità. Ma un’assurdità dalle conseguenze pratiche devastanti.
La verità è che nel momento in cui viene concepito un individuo è già persona in atto. La potenzialità riguarda semmai la sua personalità, l’ontogenesi (cioè l’insieme dei processi attraverso i quali il suo organismo si sviluppa biologicamente). La persona è in atto dal concepimento, mentre la personalità e il corpo della persona sono, queste sì, potenzialità che si sviluppano nel tempo.
Tra un embrione di pochi secondi e l’uomo che sarà a venti, quaranta o settant’anni non c’è alcuna differenza sul piano sostanziale. È sempre la stessa persona, unica e irripetibile. Ed è proprio la sua unicità a farne un «qualcuno», non un «qualcosa» o un esemplare indistinguibile da altri della sua stessa specie. È mutevole invece la sua personalità. La differenza si colloca sul piano psicofisico (tra la personalità e lo sviluppo biologico a pochi secondi, a venti, a quaranta, a settant’anni) non su quello sostanziale.
Questo è un punto decisivo, perché identificare la persona con la sua personalità significa una cosa sola: che il valore della persona equivale alla somma delle sue qualità. Così si segna il trionfo dell’efficientismo più brutale. Secondo questa visione solo gli “sviluppati”, i forti, gli intelligenti e i capaci meritano di vivere, mentre i minores della società (i defectives, come li chiamavano gli eugenisti d’inizio Novecento), i “sottosviluppati”, gli inadatti e gli imperfetti vanno semplicemente scartati come ci si sbarazza di un macchinario inservibile.
La tesi della «persona potenziale» non è altro che una ideologia al servizio del potere dei forti sopra i deboli.
Andreas Hofer
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