Rimango perplessa nel leggere l’articolo di Luca Miele su L’Avvenire di domenica 8 gennaio 2017 sulla pianificazione familiare in Cina.
“La nuova Lunga marcia. Il «figlio unico» è ormai storia. In Cina si riempiono le culle. L’inversione della tendenza demografica è arrivata dopo il cambio sulla politica di contenimento delle nascite. Sono le grandi città a guidare la “riscossa”.
Chissà, forse il giornale della CEI, per motivi diplomatici, vuole assumere un atteggiamento accomodante e di apertura nei confronti del regime dittatoriale del Partito Comunista Cinese, per un nobile intento. Forse, chissà, è necessaria qualche notizia positiva sulle politiche demografiche cinesi: può servire a limitare la persecuzione che ancora colpisce spietata i Cattolici non allineati alla “chiesa” organizzata, gestita e guidata dal Governo di Pechino…
O forse, l’ottimo giornalista autore del pezzo è stato fuorviato dagli organi di informazione del Partito che – come in ogni dittatura che si rispetti – sono abilissimi nel settore della propaganda.
E siccome non voglio presumere d’esser depositaria della verità, mi limito a fornire le informazioni che giungono da fonti non filo-governative (gente che in Cina rischia di finire per un tempo imprecisato e senza regolare processo in un laogai, cioè in lager, un campo di concentramento, tal quale – anzi peggio – di Dakau & co.). Dissidenti che, rischiando la pelle, riescono a far arrivare notizie alla Laogai Research Foundation a Washington o in Italia, ad AsiaNews, a Women’s Rights Without Frontiers, a China Aid…
I Lettori hanno diritto a conoscere un’altra versione dei fatti. Sta allo spirito critico di ciascuno, poi, approfondire, verificare e farsi un’opinione propria.
E’ vero che in Cina c’è una crisi demografica paurosa. Il Paese invecchia, mancano i giovani (che lavorano e quindi producono PIL), visto lo sterminio di bambini che dura da più di 30 anni, mancano le donne (perché gli aborti sono tremendamente sesso-selettivi) tanto che qualche consulente governativo aveva anche proposto di consentire la poliandria. È vero, quindi, che hanno trasformato la politica del figlio unico nella politica dei due figli.
Che questa già abbia dato i frutti sperati a livello di inversione della tendenza demografica lo riporta Avvenire, sulla base dei dati forniti dalla National Health and Family Planning Commission (Nhfpc). Altri dati non sono così incoraggianti, perché la gente è stata “rieducata” a non far figli. Come scriveva Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace 2010, colpevole d’aver chiesto un po’ di democrazia e che perciò è tuttora rinchiuso in un laogai, le nuove generazioni dei Cinesi, sono figli unici viziati ed egoisti, cresciuti nel materialismo più sfrenato, con la convinzione che l’unico scopo della vita sia arricchirsi e che far figli sia indecente, inconveniente e indecoroso.
Comunque, poniamo che i dati forniti dalla Commissione governativa siano corretti (a volte nelle dittature i funzionari cui è stato assegnato un compito devono dire d’averlo assolto a costo di finir male. Ma facciamo che questo non sia il caso).
Quello che Avvenire trascura, e che la propaganda cinese vuol far dimenticare ai Paesi Occidentali (che sono sempre più necessari a Pechino per il mercato di prodotti che dentro la Cina non ha sufficiente domanda, perché la maggioranza dei Cinesi, tuttora, è povera), è che la politica di pianificazione familiare del regime è ancora una politica coercitiva.
In Cina si possono far due figli? Sì, ma per ciascun figlio ci vuole il permesso scritto del Governo. E se per caso uno non ce l’ha? E se qualcuno volesse farne un terzo? È ancora oggi una drammatica realtà: aborto forzato, pena la perdita del lavoro e sanzioni economiche di portata assolutamente insostenibile (multe che equivalgono a diversi anni di stipendio dei multati).
E intanto in India, in otto degli Stati federati, chi vuole lavorare deve limitarsi a fare due figli: anche qui la politica di pianificazione familiare coercitiva comporta abusi e conseguenze sociali pesantissime per il popolo. Vediamo se ne parla e cosa dice Avvenire.
Francesca Romana Poleggi