L’agenda dell’ideologia gender sembra aver accelerato il passo. Domina ormai gran parte del mondo della comunicazione, della cultura, dello spettacolo. Si è radicata subdolamente in organismi sopranazionali e in apparati di ogni livello.
Tanto che oggi fin dalla scuola dell’infanzia si combattono “gli stereotipi sessisti” e si può dire senza timore di essere smentiti che l’ideologia della parità dei generi e la sensibilità per la tematica del gender sono ormai diventati una sorta di imperativo globale: non solo nelle discussioni accademiche, ma ormai anche nelle scelte politiche, nelle pratiche sociali e nei comportamenti sia pubblici che privati.
Quest’ideologia è alimentata con una serie di luoghi comuni che sono diventati nel tempo una sorta di leit motiv dei sostenitori della cultura LGBT, che ne siano consapevoli o meno. Anzi: di una pseudo-cultura che si presenta come una liberazione per l’uomo, ma è in realtà imposta dall’alto ed in fondo radicalmente contraria all’uomo. Come sempre avviene, del resto, nel caso delle ideologie.
In sintesi, secondo l’ideologia gender non esisterebbe una differenza ontologica tra uomo e donna. L’identità – maschile o femminile – sarebbe il frutto di una sovrastruttura. Nient’affatto reale, la differenza tra uomini e donne sarebbe stata culturalmente imposta, non sarebbe insita nella natura, nella realtà, ma sarebbe unicamente da attribuire alla tradizione: il risultato di una costruzione sociale, stabilita nel tempo, in base al radicarsi di doveri e funzioni sociali. Secondo i teorici del gender la differenza tra uomini e donne sarebbe riconducibile ad un’oppressione normativa, uno stereotipo culturale che andrebbe finalmente abolito. Di questo processo si fanno oggi carico i sostenitori dei diritti speciali per LGBT.
Sempre in quest’ottica, in nome della libertà e della parità, sono state e sono tutt’ora portate avanti molte battaglie – al momento purtroppo inarrestabili – profondamente e simmetricamente collegate tra loro: dal divorzio, all’aborto, all’eutanasia, alle tecniche di fecondazione artificiale, all’eugenetica prossima ventura e – non da ultimo – al riconoscimento del “matrimonio per tutti”.
Nella litania delle pseudo-argomentazioni a supporto di questa ventata nichilista che scuote le fondamenta delle culture planetarie (le quali non dimentichiamolo, sono tutte saldamente fondate sul riconoscimento del valore umano, sociale e tradizionale della differenza ontologica tra uomo e donna e sul conseguente valore della famiglia naturale che su questa differenza complementare si basa), spiccano oggi affermazioni più o meno campate in aria, molte delle quali fanno riferimento alla scienza.
Spesso i sostenitori del gender affermano ambiguamente che “la scienza” – intendendo la Psicologia – “dimostra” che uomini e donne sono uguali, che padre e madre non sono necessari per un normale sviluppo del bambino, che anzi i bambini vivono benissimo in contesti omosessuali, etc. A seguire, le maniacali citazioni dell’APA, dei “trent’anni di studi”, e così via.
Ma chi parla così o non sa quello che dice o è in malafede. Sarà sufficiente per ricordare quanto scriveva ad esempio Karl Popper, uno dei maestri dell’epistemologia contemporanea: “La scienza non è un insieme di asserzioni certe, o stabilite una volta per tutte, e non è neppure un sistema che avanzi costantemente verso uno stato definitivo. La nostra scienza non è conoscenza (epistème): non può mai pretendere di aver raggiunto la verità, e neppure un sostituto della verità, come la probabilità”. (La logica della scoperta scientifica).
La base empirica della scienza – secondo Popper – non posa affatto su un solido strato di roccia. L’ardita struttura delle sue teorie si eleva sopra una palude. E’ come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate giù dall’alto, ma non in una base naturale o data; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare più a fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che per ora i sostegni siano abbastanza stabili da reggere la struttura. Questo è precisamente quanto avviene per le diverse scuole di pensiero che affollano il panorama degli studi psicologici: nessuna dimostrazione, nessuna certezza, né universalmente accettata, né tanto meno definitiva. Ciò che resta incontrovertibile, al di là delle teorie, è l’evidente che appunto in quanto tale non richiede dimostrazione alcuna. Come si deve abbandonare ogni forma di relativismo, in quanto intrinsecamente contraddittorio, allo stesso modo va saldamente mantenuta la fiducia vigilante nel sapere scientifico: meglio se in modo critico e consapevole. Così, va ricordato che la Psicologia non è una scienza “dura”: la Psicologia non “dimostra” nulla.
Quando, per esempio, leggiamo che “le adozioni in coppie omosessuali non comportano problemi per i bambini, infatti ci sono trent’anni di studi che lo dimostrano”, ci troviamo di fronte ad un’affermazione che è semplicemente falsa. Nell’ambito delle scienze psicologiche (ma questo vale in generale per le scienze umane) ogni pretesa di “dimostrazione” è semplicemente grottesca. Anche uno studente alle prime armi sa che ogni ricerca psicologica presuppone sempre una teoria di fondo alla quale i ricercatori aderiscono e nella quale operano, quasi sempre in contrasto con teorie e scuole parallele. In Psicologia – è bene ripeterlo – a differenza di quanto avviene in Logica o in Matematica, non si “dimostra” nulla in quanto l’oggetto di studio non è ideale, ma umano: diverse teorie guardano il mondo sociale in modo discordante e ottengono dati difformi (sono diversi i criteri, diverse le metodologie, gli orizzonti teorici, per non parlare delle possibili interpretazioni delle stesse realtà, spesso divergenti se non addirittura contrarie tra loro). Nell’ambito delle scienze umane, ogni considerazione non è mai definitiva, bensì sempre provvisoria: una sua eventuale negazione non comporta contraddizione logica (come invece avviene in una dimostrazione vera e propria, per esempio matematica o geometrica).
Un semplice esempio ci aiuterà a mettere a fuoco il discorso. E’ Larry Laudan, per citare un altro esperto contemporaneo di epistemologia, a ricordarci che molte teorie scientifiche, un tempo considerate di successo, si sono poi rivelate discutibili o addirittura sbagliate (come per esempio la teoria medica degli umori, la teoria dell’etere, la teoria della forza vitale, la teoria della generazione spontanea, etc.). Come tutti sappiamo, la Psicologia nasce con Aristotele ed è ancora in pieno sviluppo: ha alle spalle una storia lunghissima, fatta di continui mutamenti teorici. In realtà nessuno oggi sottoscriverebbe una teoria psicologica dell’Ottocento, mentre – sempre per fare un esempio – il teorema di Pitagora è ancora lì com’è stato inizialmente definito, da oltre duemila anni, a ricordarci ogni giorno la differenza che c’è tra “dimostrazione” e “congettura”. Mentre la prima non ammette negazioni (pena la contraddizione logico-formale), la seconda è sempre perfettibile o addirittura passibile di radicale ritrattazione. Dipende da una complessa molteplicità di fattori: da come i dati sono stati raccolti, dall’osservazione e dall’osservatore, dal metodo, dalle teorie di riferimento, e così via. Insomma: dipende.
Eppure i sostenitori del gender fanno un insistente riferimento ad un numero limitato di ricerche, peraltro assai contestate (i famosi “trent’anni di studi”), che metterebbero (il condizionale è d’obbligo) in evidenza come i bambini inseriti in coppie omosessuali non subiscano alcun danno e anzi non presentino alcuna significativa differenza in termini quantificabili (salute, rendimento scolastico, etc.) rispetto a molti dei loro coetanei.
Detto questo, poniamoci allora la seguente domanda. Visto che nessuna delle scuole Psicologiche contemporanee o Associazioni di Psicologi (men che meno l’APA, come è stato ampiamente mostrato in questi ultimi decenni) è in grado di pervenire a descrizioni unanimi, non contraddittorie e definitive dell’uomo, è lecito prendere decisioni così gravi circa il futuro degli esseri umani?
E’ lecito operare una vera e propria rivoluzione antropologica di una portata inimmaginabile, in base ad una particolare prospettiva psicologica (escludente chissà perché tutte le altre) che – fino a prova contraria – potrebbe essere completamente erronea?
Per di più ignorando aprioristicamente tutte le ricerche che danno risultati diametralmente opposti?
Tutto questo, si badi bene, senza ancora essere entrati nel merito. Infatti non pochi studiosi rilevano che – solo per restare nell’esempio citato – sulle adozioni gay molte ricerche psicologiche sono state profondamente condizionate dall’ideologia, per cui molti di questi studi non rispondono ad accettabili standard di ricerca psicologica, sono compromessi da difetti metodologici, presentano BIAS inaccettabili in fase di ricerca e valutazione e sono sostenuti più da programmi politici che da un’obbiettiva ricerca della verità.
Ai teorici del gender non possiamo non rispondere. Ripartendo dall’evidenza e magari, perché no, usando le loro stesse tattiche decostruzioniste ed iniziando proprio col demolire i luoghi comuni che ne alimentano la diffusione. La pretesa di annullamento della differenza sessuale dal piano dell’evidenza (su cui, ricordiamolo, si basa la Logica), è la premessa di molte delle loro battaglie sociali. Tale pretesa, negando la realtà dell’evidenza, non solo comporta squilibri psicotici gravissimi, anche di tipo collettivo, ma riducendo l’uomo ad un essere indeterminato, fatto di mera istintualità (queer), rende tutti noi sempre più indifesi rispetto ai progetti di ingegneria sociale che cercano di ridurre le persone a meri prodotti culturali, consumatori incapaci di relazionarsi e quindi di interfacciarsi in modo critico con la realtà. Vengono in mente le parole di Italo Carta, direttore della Scuola di specializzazione in Psichiatria dell’Università degli studi Milano: “quando si abolisce il principio di evidenza naturale la mente compensa con squilibri psicotici gravissimi. Per questo pensare di introdurre l’uguaglianza dei sessi come normale significa attentare alla psiche di tutti. Penso poi ai più deboli: i bambini. Se gli si insegna sin da piccoli che quel che vedono non è come appare, li si rovina”. L’accettazione dell’evidenza, di una realtà che è data e non si può inventare, dovrebbe essere il principio che ci guida nell’opera di smantellamento dei luoghi comuni.
Il fatto è che siamo ormai totalmente immersi in un linguaggio ideologico che utilizzando neologismi illogici e fantasiose categorie concettuali, avvelena fin nel profondo ogni discorso sull’uomo, negando a priori proprio l’evidenza: la negazione della mascolinità e della femminilità, contro l’evidenza, la sostituzione della paternità e della maternità e della generazione naturale con la fabbricazione dei bambini, la schizofrenia con cui si nega valore al matrimonio e alla famiglia ma allo stesso tempo si lotta per il “matrimonio per tutti”, così come si cerca in ogni modo di normalizzare le “famiglie omogenitoriali”, portano come logica conseguenza alla negazione della struttura antropologica di ogni essere umano, della sua capacità relazionale che sulla originaria distinzione sessuale tra maschio e femmina è fondata.
L’ideologia del gender è non solo contraria all’evidenza, ma anche profondamente ostile all’uomo – culturalmente, politicamente e giuridicamente – proprio nella stessa misura in cui si batte contro l’identità ontologica dell’uomo e della donna, fondata sulla loro evidente differenza complementare.
Come spero di aver mostrato la lotta contro il diffondersi di questo linguaggio e a questa abolizione violenta del principio dell’evidenza naturale passa prima di tutto attraverso l’analisi impietosa dei luoghi comuni su cui si fonda, uno dei quali è senz’altro l’idea balzana secondo la quale la scienza darebbe in qualche modo conferma alle teorie del gender. Si tratta di un lavoro doloroso, a volte impietoso, ma va compiuto: il gender va smentito, punto per punto.
Alessandro Benigni