Le ragioni scientifiche, umane ed etiche che militano contro la fecondazione artificiale sia all’interno della coppia (omologa), sia ancor di più all’esterno di essa (eterologa), sono varie. E tutte degne di attenzione e rispetto.
Ma il trans-umanesimo contemporaneo vorrebbe abolire tutte le barriere e le frontiere etiche, ignorando i danni e i rischi che si ingenerano dietro le buone, anzi a volte dietro le ottime intenzioni di alcuni.
Da oggi, infatti, nella Regione Lazio, la procreazione medicalmente assistita sarà accessibile alle donne fino a 46 anni. E questo in forza di una delibera firmata dall’assessore alla Sanità Alessio D’Amato – e attuale candidato del Partito Democratico alla presidenza della Regione - la quale aumenta il limite di età di accesso nelle strutture pubbliche, finora di 43 anni.
Il problema però è alla radice, non riguarda solo l’età. Non andrebbe infatti sfidata e sabotata la natura umana, anche se la mamma di anni ne avesse 23. Perché l’inseminazione artificiale viola la natura in ciò che essa ha di più sacro, ovvero nella trasmissione della vita umana e nella generazione dei nuovi cittadini. Spezza il legame, psicologico e fisico, tra gli sposi. Fagocita la mentalità secondo cui ogni desiderio sarebbe un diritto che proprio lo Stato di diritto dovrebbe garantire.
La stessa legge 40/2004, fatta contro il cosiddetto far west della procreazione selvaggia, non risolve affatto i problemi. Il Ministero della salute parla delle varie tecniche di fecondazione artificiale, dividendole in “metodiche di primo livello”, descritte come «semplici e poco invasive», tecniche di II e III livello, «più complesse e invasive» e che prevedono l’uso della fecondazione in vitro.
Lo stesso sito del Ministero, pur favorevole alla PMA, descrive il ciclo della fertilità naturale della donna, il quale, per saggia disposizione della natura, diminuisce già «intorno ai 32 anni» e ha «un secondo più rapido declino dopo i 37». Fino a diventare «prossima allo zero negli anni che precedono la menopausa, che in genere si verifica intorno ai 50 anni».
Il rispetto della natura oggi è sulla bocca di tutti – soprattutto se pensiamo all’ambientalismo radicale - ma quando non fa più comodo esso scompare, in nome del predominio della scienza e della tecnica senza un’etica.
Lo stesso Ministero però avverte le donne sul fatto che, rispetto alla fecondazione, «le percentuali di successo, dopo i 40 anni, sono comunque molto limitate». E allora, ci chiediamo, perché entusiasmarsi per un allungamento dell’età di accesso alla procreazione artificiale che invece sa piuttosto di presa in giro della donna e dei suoi sogni di maternità?
La fecondazione in vitro, osservava il grande bioeticista Elio Sgreccia, «anche quando è omologa, dissocia la dimensione unitivo-affettiva dell’atto coniugale dalla dimensione procreativa». (Manuale di bioetica, p. 456). E’ un eccellente desiderio quello di avere figli, ma si faccia attenzione al modo e al mezzo. E allo stesso benessere dei figli, che meritano di nascere e di crescere nelle migliori condizioni possibili.