La partecipazione tanto discussa del cantante Junior Cally, al Festival di Sanremo, si è trasformata fortunatamente, possiamo dire, in un caso politico.
Alla lettera è così perché 29 deputate di diversi schieramenti hanno sottoscritto una lettera di protesta contro la presenza del cantante in questione, in quanto autore di testi pieni di violenza, sessismo e misoginia, dimostrando che “la direzione artistica di Sanremo sia in palese contrasto con il contratto di servizio della Rai". Parliamo di canzoni che hanno per oggetto (è proprio il caso di dirlo...) donne apostrofate nelle maniere più offensive e ritratte mentre si abbassano al livello delle bestie, compiendo azioni riprovevoli, a sfondo sessuale, che subiscono ogni forma di violenza dall’uomo con cui hanno a che fare: una di queste viene descritta con una busta in testa e legata ad una sedia.
Testi dal contenuto talmente grave da aver meritato l’intervento di Marcello Foa: "Scelte come quella di Junior Cally sono eticamente inaccettabili per la stragrande maggioranza degli italiani. Chi predica in maniera esplicita e orgogliosa stupro e femminicidio non merita il palco dell'Ariston”. Le dichiarazioni di Foa sono state seguite da quelle di Matteo Salvini: “Presenteremo al presidente della commissione di Vigilanza Rai, Alberto Barachini, una richiesta formale di intervento", hanno scritto: "Per un anno ho lavorato con Giulia Bongiorno per far approvare il Codice rosso. Ora leggo che la Rai e il più importante festival della canzone italiana, usando denaro pubblico, sdoganano femminicidio e stupro. Non ho parole: mi auguro che questo tizio non metta mai piede sul palco di Sanremo
E in effetti c’è davvero da chiedersi il senso di tutto questo: come si può parlare in continuazione dell’allarme dei femminicidi, proporre corsi, anche nelle scuole, in cui teoricamente si parla di “parità di genere”, pubblicizzare il #metoo come qualcosa di positivo e poi, nei fatti, nella concretezza spicciola, propugnare tutto il contrario? E l’aggravante è che stiamo parlando del servizio pubblico della Rai che diventa veicolo di sconcezze e violenza e di un programma che da anni rappresenta l’immagine del nostro paese, nel mondo.
Probabilmente il valore più importante da recuperare in un simile contesto, è la coerenza. Non si può diffondere un’immagine della donna come oggetto sessuale, in tutti i modi e in tutte le occasioni e poi lamentarsi ipocritamente dell’allarme sulla violenza femminile. Un vasto e preciso lavoro culturale, non basato sul semplice abbattimento degli stereotipi, come si predica oggi, ma soprattutto sull’educazione al rispetto e ad una affettività vera è l’unico rimedio a questi mali. Ma se poi, al contrario, nei fatti, si diffonde solo un’immagine spazzatura del lavoro uomo-donna, è inutile piangere sul latte versato.
di Manuela Antonacci