La società sta sempre più vivendo un periodo di crisi antropologia che investe tutti gli ambiti della vita non solo privata ma anche e soprattutto civile e comunitaria. Dal politicamente corretto alle nuove istanze – e problematiche – che arrivano da una tecnologia come il metaverso. Su quali pericoli, difficoltà e sfide da affrontare ne abbiamo parlato con la giornalista e scrittrice Enrica Perucchietti, che sarà anche tra gli ospiti relatori – sabato 25 febbraio – di un convegno su queste tematiche dal titolo “Se questo è l’uomo”, che si terrà a Roma promosso da Cinabro Edizioni con la collaborazione di Pro Vita & Famiglia Onlus e della rivista Fuoco.
Il metaverso si può definire, così come una serie di ideologie che mirano alla distruzione dell’identità, un attacco all’uomo?
«Assolutamente sì, è un tassello di questo processo di riconfigurazione antropologica ed è un’evoluzione dei paradisi artificiali indotti dalle droghe, il fatto di voler trasferire sempre di più la vita sociale all’interno di una gabbia digitale. È il segno di quel paradigma che ha battezzato il passaggio dall’uomo come animale politico e sociale a un animale sempre più virtuale e digitale. Purtroppo abbiamo assistito a questo cambiamento proprio durante la pandemia, in cui l’attacco alla socialità, alla famiglia, ai rapporti, ha costretto per quasi tre anni le persone a vivere barricate in casa, dietro dei supporti psicologici e ad avere dei rapporti soltanto grazie a strumenti e dispositivi psicologici».
Perché il politicamente corretto è collegato con la crisi antropologica?
«Perché qualunque tipo di rivoluzione, non solo sul piano antropologico ma culturale, per essere legittimata dalle masse, dev’essere offerta in una chiave buonista, paternalista, politicamente corretta. Cioè si deve far passare l’idea che questa trasformazione dell’uomo che sta avvenendo è per il benessere collettivo e che quindi qualunque attacco all’identità avvenga per il benessere di tutti noi. E qui rientra il politicamente corretto: come maschera e come retorica per poter giustificare tutto ciò».
In questo attacco all’uomo, tra il politicamente corretto e il metaverso, si può collocare anche la nuova ideologia green radicale? E in che modo?
«Perché l’uomo finisce per diventare, addirittura all’interno di certe visioni radicali, un virus che distrugge tutto ciò che incontra, quindi anche il pianeta inteso come Gaia. All’interno di queste visioni radicali, qualunque tipo di trasformazione può essere accettata e imposta alla società, perché l’essere umano è visto come elemento negativo che dev’essere assolutamente combattuto. Questo tipo di visione la si deve poi conciliare col transumanesimo e le derive del post umano, che sono le ideologie di fondo dell’élite tecnocratiche. Ma, al di là di tutto, c’è la volontà di aggredire e sradicare qualunque tipo di identità e rendere l’essere umano un costrutto culturale, qualcosa di totalmente malleabile, informe, farlo sentire in colpa, in modo da legittimare qualunque tipo di configurazione antropologica».
Siamo nella fase finale dell’antropocentrismo?
«Secondo me non siamo ancora alla fine, ma a metà del tragitto e ne vedremo delle belle. Questo percorso sta già assumendo i connotati della parodia: pensiamo all’ideologia woke, alla cancel culture ecc. Si sta esagerando talmente tanto perché stiamo vivendo in una fase di totale perversione e sovvertimento».