La ricerca del fondamento dei diritti umani sarebbe velleitaria se non controproducente, secondo Norberto Bobbio (nella foto), fautore del positivismo, che scrive: «Il fondamento assoluto non è soltanto un’illusione; qualche volta è anche un pretesto per difendere posizioni reazionarie […]. Il problema di fondo relativo ai diritti dell’uomo è oggi non tanto quello di giustificarli, quanto quello di proteggerli. È un problema non filosofico ma politico […]. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo rappresenta la manifestazione dell’unica prova con cui un sistema di valori può essere riconosciuto: e questa prova è il consenso generale circa la sua validità. […] Si tratta di un fondamento, quello storico del consenso, che può essere fattualmente provato. Ebbene, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo può essere accolta come la più grande prova storica, che mai sia stata data, del “consensus omnium gentium” circa un determinato sistema di valori» (N. Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Bologna 1979, pp. 127-134).
Certamente il rafforzamento dell’impegno internazionale in direzione dei diritti umani è (in teoria) un buon segno e il riflesso di un’esigenza sempre più avvertita come irrinunciabile; tuttavia se non viene affrontata e risolta la questione del loro fondamento, si corre il rischio non solo di far giacere queste solenni enunciazioni come lettera morta, ma anche di legittimare, attraverso la logica convenzionale e sotto la veste dei diritti umani, la consacrazione di rivendicazioni che diritti non sono, ma solo desideri, se non vergognosi capricci.
Si tratta di un processo già abbondantemente iniziato, sul piano del diritto civile, con la seconda metà del secolo scorso, ma date le premesse di questo secolo appena nato, rischia di proseguire e consolidarsi sul piano del diritto costituzionale e infine internazionale. Basti pensare alla crescente, e ormai indiscutibile, “libertà” di autodeterminazione della donna che rende l’aborto di Stato un diritto civile e che, secondo l’orientamento del trend culturale odierno, sta arrivando ad assurgere alla dignità di diritto umano fondamentale grazie alla battaglia per i cc.dd. “diritti riproduttivi”; per non parlare di altre rivendicazioni, come il “diritto” alla genitorialità, le adozioni omosessuali, la transizione di genere ecc., che solo pochi anni fa erano inconcepibili al senso comune.
Purtroppo il discorso sul fondamento dei diritti umani è a un punto morto e il muro che divide le opposte fazioni sembra insuperabile. Scrive a tal proposito Jacques Maritain: «Il paradosso sta nel fatto che le giustificazioni razionali sono indispensabili e tuttavia incapaci di mettere accordo fra gli spiriti. […] I problemi che esse sollevano sono difficili, e le tradizioni filosofiche cui fanno riferimento sono da lungo tempo contrastanti. Si racconta che in una riunione di una Commissione nazionale dell’UNESCO, in cui si discuteva dei diritti dell’uomo, qualcuno si meravigliasse che si fossero trovati tutti d’accordo, nel formulare una lista di Diritti, vari campioni di ideologie violentemente avverse. – Sì, risposero, noi siamo d’accordo su questi diritti, ma a condizione che non ci si domandi il perché» (J. Maritain, Introduzione a AA. VV., Dei diritti dell’uomo, Milano 1952, p. 12).
Insomma si può ben dire che la scienza giuridica e la politica degli ultimi decenni stanno attraversando una fase di positivismo giuridico “di fatto” in cui ci si concentra sull’accordo pratico ignorando la dimensione teorica. Ciò non toglie che il problema del fondamento ultimo dei diritti umani è e sarà sempre un’esigenza ineludibile della ragione, e non si capisce come sia possibile separare la questione della giustificazione da quella dell’attuazione: se non esiste un criterio oggettivo e universale per provare, a prescindere dal consenso, l’inviolabilità della persona umana, «è difficile vedere come ci si possa battere per dei diritti che vengono considerati solo come assunzioni delle quali non è possibile rendere ragione, avendo un fondamento contingente, convenzionale, e quindi necessariamente caratterizzato nel senso dell’arbitrarietà» (R. Pizzorni, La filosofia del diritto secondo S. Tommaso d’Aquino, p. 551).
Non deve stupire, quindi, se gli stessi Stati che assumono impegni in tal senso finiscono poi per aggirarli sul piano sostanziale, in maniera esplicita o velata. La fragilità dell’impianto giuridico costruito a tutela della persona deriva dalla contraddizione su cui poggia: si parla di diritti “inalienabili” senza preoccuparsi di quale sia il vincolo che impedisce di disporne; si parla di diritti “universali” senza indicare la matrice comune; si parla di “famiglia umana” ma non si capisce da dove provenga il legame che unisce i membri.
Vincenzo Gubitosi