28/08/2023

Quanto è imparziale l’Oms?

I nostri Lettori sanno bene che l’Onu incarna da decenni la cultura della morte, ma è quasi “divinizzata” dal pensiero mainstream. Le informazioni contenute in questo articolo, quindi, sono importanti per poter sostenere dibattiti e confronti a viso aperto con validi argomenti, sostenuti dalla forza della verità.


Nella rivista n. 107 di maggio 2022 [L’aborto “sicuro” (per l’Oms), p. 22], abbiamo parlato delle nuove linee guida sull’aborto, più estreme di sempre, che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha emesso il 3 marzo 2022, nelle quali promuove l’aborto senza limiti fino alla nascita e il pericoloso aborto chimico fai-da-te in telemedicina; chiede che si limiti l’obiezione di coscienza per gli operatori sanitari; prevede l’eliminazione dei tempi di attesa, del consenso dei genitori per le minorenni e dell’obbligo secondo cui sia solo il medico a praticare l’aborto, aprendo «la ripartizione del compito tra una più ampia platea di operatori sanitari», come gli infermieri. Non ritornerò sul carattere ideologico di queste disposizioni, che abbiamo già evidenziato nel precedente articolo, ma mi concentrerò su altri aspetti che ci confermeranno, semmai ce ne fosse ancora bisogno, quanto l’Oms sia parziale, se non persino fuorviante, nelle questioni che riguardano l’aborto.

Le nuove linee guida elaborate da attivisti pro aborto

Innanzitutto, proprio riguardo alle nuove linee guida, l’European center for law and justice (Eclj) ha successivamente scoperto che dei 121 esperti, chiamati dall’Oms, ben 80 erano attivisti pro aborto o finanziati da organizzazioni pro aborto. È, infatti, emerso che in ognuno dei gruppi di lavoro incaricati di elaborare e revisionare le linee guida, la maggioranza aveva un “profilo militante” simile e molti erano al soldo di fondazioni che finanziano l’aborto, come la Susan Thompson Buffett Foundation. Questa fondazione elargisce anche decine di milioni di dollari al Programma Hrp (sulla riproduzione umana) dell’Oms, che ha pubblicato le linee guida sull’aborto, e collabora con altre agenzie delle Nazioni unite, tra cui l’Unfpa e l’Unicef.

In una lettera agli ambasciatori delle Nazioni Unite di Ginevra, il direttore dell’Eclj, Grégor Puppinck, ha sottolineato che «la massiccia presenza di questi attivisti, spiega perché le linee guida riflettano pienamente le richieste dei grandi gruppi privati che promuovono l’aborto in tutto il mondo». Puppinck ha, inoltre, evidenziato la mancanza di rigore scientifico delle linee guida, visto che non solo il 37% delle raccomandazioni non è supportata da dati scientifici, ma molte di queste sono meramente politiche, come quando si raccomanda di usare l’espressione «persone incinte» anziché «donne incinte». All’interno della stessa Oms sono molti gli esperti che hanno in precedenza lavorato per gruppi pro aborto come l’Ipas, il Population council, il Center for reproductive rights e l’International planned parenthood federation

La promozione dell’aborto come “diritto umano”

Sono anni che l’Oms pubblica manuali clinici e linee guida per istruire gli operatori sanitari su come praticare l’aborto fino a 12 settimane e oltre, e rilascia linee guida programmatiche per fornire agli attori politici raccomandazioni su come integrare l’aborto nelle politiche e nei regolamenti sanitari. Fino a qualche anno fa, questo veniva giustificato con la necessità di tutelare la salute della donna dal cosiddetto aborto “non sicuro”, finché non è avvenuto un salto di qualità e l’Oms non ha iniziato a raccomandare la legalizzazione dell’aborto senza limiti in quanto “diritto umano”.

La svolta si è palesata nel 2016 quando l’Oms e l’Ohchr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani) hanno creato un Gruppo di lavoro di alto livello per la salute e i diritti umani di donne, bambini e adolescenti, in modo da integrare gli obiettivi sulla salute negli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) e nella Strategia globale per la salute delle donne, dei bambini e degli adolescenti delle Nazioni Unite, relativi, appunto, ai diritti umani. Questa sinergia è stata attuata proprio con l’intenzione di far avanzare i diritti in materia di salute sessuale e riproduttiva, e di facilitarne l’appoggio da parte dei decisori politici.

Il primo rapporto di questo Gruppo di lavoro - che è stato approvato dall’allora direttore dell’Oms, Margaret Chan - è significativo, dal momento che include nella Strategia globale azioni come la decriminalizzazione dell’aborto, della sodomia e della prostituzione: «Abrogare, rescindere o emendare le leggi e le politiche che creano barriere o limitano l’accesso ai servizi sanitari (compresi i servizi per la salute e i diritti sessuali e riproduttivi) e che discriminano, esplicitamente o di fatto, le donne, i bambini o gli adolescenti in quanto tali, o per motivi vietati dalla legge sui diritti umani. Ciò presuppone l’abrogazione delle leggi che criminalizzano determinate condotte e decisioni sessuali e riproduttive, come l’aborto, l’intimità omosessuale, la prostituzione e la diffusione o la ricezione di informazioni sulla salute e sui diritti sessuali e riproduttivi».

Il tentativo dell’Oms di inserire l’aborto tra i diritti umani è particolarmente preoccupante, perché gli Stati sono obbligati dal diritto internazionale a ottemperare ai trattati che hanno ratificato e perché le sentenze degli organismi di controllo dei trattati sono solitamente rispettate, anche se di per sé non determinano alcun obbligo legale. Le raccomandazioni degli organi di controllo dei trattati possono esercitare pressioni significative sugli Stati membri sovrani, inducendoli ad allentare le restrizioni sull’aborto come è, per esempio, avvenuto in Nepal, Colombia, Lussemburgo, Argentina, Bolivia, ecc.

La bufala dell’aborto legale che diminuisce la mortalità materna

Mentre si ingegna per trasformare l’aborto in “diritto umano”, l’Oms continua, con crescente insistenza, a raccomandare agli Stati l’accesso all’aborto legale che - secondo lei - dovrebbe ridurre l’incidenza dell’aborto “non sicuro” e la conseguente mortalità materna. Adottando, apparentemente, un approccio basato sull’evidenza, l’Oms sostiene che i Paesi occidentali benestanti che hanno legalizzato l’aborto hanno un basso rapporto di mortalità materna (Mmr) rispetto ai Paesi nei quali l’aborto è illegale, come se esistesse una relazione causale tra l’aborto legale e una mortalità materna inferiore o, in altre parole, come se fosse l’aborto illegale a far lievitare le morti materne; ma è falso e sono proprio le evidenze a dimostrare che l’Oms si sbaglia

Come prima cosa vi è da notare che, come riconosce anche il pro aborto Guttmacher Institute, «la stragrande maggioranza... dei Paesi con leggi molto restrittive sull’aborto si trovano in regioni in via di sviluppo». Ne consegue che, paragonare la mortalità da aborto tra Paesi ricchi e Paesi in via di sviluppo è come confrontare le mele con le pere. Per avere un’idea degli effetti delle leggi sull’aborto sulla mortalità materna è più corretto confrontare tra loro Paesi, con e senza aborto legale, che hanno uno sviluppo simile; oppure confrontare per un singolo Paese la situazione che vi era prima della legalizzazione dell’aborto con quella dopo, o viceversa.

Calhoun et al. (JPandS, 2013) hanno confrontato gli Mmr in un arco di tempo di 40 anni tra due Paesi occidentali simili: la Gran Bretagna (che ha l’aborto legale) e l’Irlanda (quando l’aborto era illegale), trovando per le donne inglesi una mortalità materna doppia (6 su 100.000) rispetto alle irlandesi (3 su 100.000). E, restando in Europa, da quando nel 1989 la Polonia ha limitato l’aborto nella maggior parte dei casi, il suo Mmr è crollato da 17 a 2 su 100.000.

Altrove si registra una tendenza simile. Per esempio il Cile ha riportato un crollo della mortalità materna del 95% da quando nel 1989 ha vietato l’aborto: l’Mmr è passato da 270,7 su 100.000 (nel 1957) a 16,5 (2008) a 13 (nel 2017: dato Oms). Per contro, negli Stati Uniti l’indice di mortalità materna è aumentato del 27%: l’Mmr è passato da 18,8 su 100.000 nel 1972 (anno prima della Roe) a 23,8 su 100.000 nel 2020 (dato Cdc, notoriamente sottostimato). Secondo i dati della stessa Oms (Trends in Maternal Mortality), El Salvador e il Nicaragua, che hanno reso l’aborto completamente illegale, hanno riportato un calo notevole della mortalità materna: l’Mmr di El Salvador si è ridotto del 60%, passando da 110 su 100.000 (nel 1990) a 46 (nel 2017); l’Mmr del Nicaragua si è ridotto del 42%, passando da 170 su 100.000 (1990) a 98 (2017); invece il Canada, che dal 1988 consente l’aborto senza limiti, ha riportato un balzo dell’Mmr del 65%, passando da 6 su 100.000 (1990) a 10 (2017). E ancora, in Egitto, dove vige una legge estremamente restrittiva sull’aborto, l’Mmr è crollato del 70%, passando da 120 su 100.000 (1990) a 37 (2017), sempre secondo i dati Oms i quali, a quanto pare, sbugiardano le sue stesse affermazioni.

Non è, quindi, l’aborto legale a influire sulla mortalità materna, ma altri fattori. Koch et al. (Bmj open, 2015) hanno confrontato i tassi di mortalità materna, nel periodo di dieci anni 2002-2011, tra i 32 Stati federati del Messico che hanno leggi sull’aborto molto variabili, suddividendoli in due gruppi: Stati con leggi permissive sull’aborto e Stati con leggi restrittive. I ricercatori hanno scoperto che l’allentamento delle restrizioni sull’aborto non aveva prodotto alcun calo degli Mmr e, quindi, che la legislazione sull’aborto non influiva sulla mortalità materna. Ciò che realmente influiva sui tassi di mortalità era, al contrario, il potenziamento dell’accesso alle cure prenatali e all’assistenza qualificata al parto, il miglioramento dell’assistenza ostetrica d’emergenza e delle strutture sanitarie di base, il tasso di alfabetizzazione delle donne, l’accesso all’acqua potabile e a strutture igienico-sanitarie adeguate, i tassi di fertilità e i tassi di violenza sulle donne. Un altro fattore che influisce - secondo quanto rilevato dal deVeber Institute – è la distanza per raggiungere un ospedale. Sarebbe pertanto meglio che l’Oms, proprio in qualità di ente sanitario, si concentri sulla promozione dell’assistenza sanitaria materna nel suo complesso invece di fare pressioni volte a modificare le legislazioni degli Stati verso politiche pro aborto controverse e di dubbia efficacia. 

La sovrastima della mortalità da aborto “non sicuro”

Nel suo studio sulla mortalità materna (Int J Environ Res Public Health, 2021), il dottore Calum Miller - medico del National Health Service (il sistema sanitario nazionale del Regno Unito) e ricercatore associato presso l’università di Oxford – evidenzia la natura fuorviante delle stime dell’Oms relative alla mortalità materna associata all’aborto “non sicuro”. Miller osserva che l’Oms stima «la mortalità materna globale degli aborti non sicuri al 4,7-13,2%», ma «lo studio che riporta queste cifre afferma chiaramente che esse comprendono anche le morti per gravidanza ectopica, aborto spontaneo e una serie di altre condizioni»; ne consegue che l’Oms travisa questa stima «nonostante lo studio sia stato condotto dai suoi stessi ricercatori». Affermare - come fa l’Oms - che «il 4,7-13,2% delle morti materne sono imputabili al solo all’aborto indotto non sicuro è una evidente alterazione dei fatti» che «porta a una consistente sovrastima delle morti attribuibili all’aborto illegale», ribadisce Miller.

Il dottor David Reardon, dell’Elliot Insitute, osserva che le pressioni per legalizzare l’aborto nei Paesi in via di sviluppo hanno come obiettivo sottaciuto quello di ridurre le nascite dei Paesi poveri, opportunamente mascherato con i noti slogan secondo i quali l’aborto indotto sarebbe più sicuro del parto e l’aborto legale riduce la mortalità materna. L’alterazione in eccesso delle morti da aborto illegale da parte dell’Oms è chiaramente funzionale, non a tutelare le donne, ma al controllo della popolazione nei Paesi in via di sviluppo. Ciò rende ancora più chiara la sua svolta per rendere l’aborto un “diritto umano” senza limiti.

La ricerca di Miller concorda sul fatto che i cambiamenti significativi sulla mortalità materna sono dovuti allo sviluppo dei sistemi sanitari: «In generale, i centri di ricerca e le revisioni basate sul rapporto costi-benefici, pongono l’accento sul miglioramento delle infrastrutture di base, sull’accesso alle cure ostetriche d’emergenza e sull’ampia disponibilità dei servizi di base». In un’intervista rilasciata al The Bridgehead, il ricercatore di Oxford ha affermato che «anziché essere la soluzione ottimale per ridurre le morti da aborto, la legalizzazione dell’aborto porta a un enorme incremento del numero degli aborti, senza alcuna diminuzione apprezzabile della mortalità da aborto o della mortalità materna… Tutto quello che ha ottenuto [l’aborto legale] è stato, purtroppo, solo l’aumento delle vite umane abortite e delle donne ricoverate in ospedale».

L’occultamento delle morti provocate dall’aborto legale

Mentre, da un lato, l’Oms sovrastima la mortalità da aborto “non sicuro”, dall’altro lato si ingegna per sottostimare le morti correlate all’aborto legale e “sicuro”. Il dottor Reardon osserva che l’Oms favorisce l’occultamento e, quindi, la sottostima dei decessi causati dall’aborto indotto, attraverso la regola di codifica n. 12 dell’International Classification of Diseases – Icd (classificazione internazionale delle malattie), nella quale stabilisce che i decessi causati da trattamenti medici o chirurgici siano registrati attribuendoli alla complicazione (per es. embolia) e non al trattamento (aborto indotto). La ricercatrice Isabelle Bégin ha detto che questo fa dell’aborto una «categoria fantasma» rendendo di fatto impossibile codificare una morte come dovuta all’aborto. I codificatori medici riferiscono che ogni tentativo di codificare una morte sotto la voce aborto, produce un «messaggio di rifiuto» da parte del programma informatico. In questo modo solo un numero minimo di morti correlate all’aborto indotto può essere classificato sotto la voce aborto, determinando una significativa sottostima dei decessi correlati all’aborto legale.

Se a quanto visto fin qui, aggiungiamo il fatto che l’Oms ignora sistematicamente la mole di letteratura scientifica che evidenzia l’impatto negativo dell’aborto sulla salute psicofisica della donna, se ne ricava che il suo approccio all’aborto è indiscutibilmente ideologico e di parte. E, quindi, se volessimo rispondere alla domanda: «Quanto è imparziale l’Oms, in una scala da zero a dieci, sulla questione aborto?», la riposta non potrà che essere «zero!».

 

Articolo a cura di Lorenza Perfori, già pubblicato sulla Rivista Notizie Pro Vita & Famiglia n. 117 - Aprile 2023

 

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.