Pubblichiamo qui di seguito l’ultimo comunicato stampa dell’Aigoc - Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici - in merito alla relazione sulla ministeriale al Parlamento sull’applicazione della legge n.40/2004 nel 2020 (presentata il 18.10.2022), ovvero sulla legge contenente "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”.
Un Relazione che, secondo Aigoc, conferma ed accentua tutte le criticità che la stessa Associazione aveva rilevate anche nelle relazioni degli anni precedenti.
La relazione ministeriale al Parlamento sull’applicazione della legge 40/2004 pubblicata sul sito del Ministero della Salute il 18 ottobre 2022 poco prima che il Ministro Speranza lasciasse il Ministero stesso ripresenta in modo più accentuato alcune criticità già chiaramente denunciate dall’AIGOC (vedi ultimo comunicato stampa www.aigoc.it) e che richiedono di essere sottoposte al nuovo Governo perché provveda alle improcrastinabili correzioni.
La pandemia ha sì ridotto l’attività dei centri di PMA, ma molto meno di quanto abbia ridotto altri servizi sanitari essenziali. Il dato della relazione ministeriale che più balza agli occhi dei lettori attenti è che la metà dei 38.728 cicli iniziati, non sono andati a buon fine in quanto ben 15.534 sono stati interrotti dopo il prelievo ovocitario e altri 3992 sono stati sospesi prima del prelievo ovocitario.
Nella Tabella 8 (vedi foto qui sopra) a pag. 76 della relazione ministeriale sono riportate le cause, che hanno indotto a sospendere questi 3.942 cicli prima del prelievo ovocitario: nel 6% dei casi la mancata risposta ovocitaria facilmente prevedibile prima di iniziare la stimolazione ovarica dai risultati degli esami ormonali (AMH) ed ecografici. La figura 12 di pag. 114 ci fa notare che il numero di cicli sospesi/annullati dal 2010 al 2020 è stato sempre più in crescita e che nel 2020 ha avuto una significativa crescita (+6,9%). Nello 0,7% si è avuta al contrario una risposta eccessiva alla stimolazione ovarica evidentemente anch’essa eccessiva!
Nella tabella 12 (vedi foto qui sopra) di pagina 78 della relazione troviamo le cause che hanno spinto ad interrompere i cicli dopo il prelievo ovocitario: la causa che ha determinato l’interruzione del maggior numero di cicli (11,4%) è stata il rischio di OHSS (sindrome da iperstimolazione ovarica) evidentemente legata all’entità della stimolazione ovarica utilizzata con l’obiettivo di avere molti ovociti a disposizione; un altro 14,4% (nessun ovocita prelevato, totalità di ovociti immaturi o degenerati, mancata fertilizzazione, mancato clivaggio, tutti gli embrioni non evolutivi) era prevedibile tenendo in debito conto l’età della donna e gli accertamenti ecografici e di laboratorio già citati. 148 donne hanno avuto bisogno di ricovero urgente e cure (99 per OHSS, 46 per emorragia abbondante 3 per infezione cfr. Tabella 50 pag. 108).
Nella tabella 1 (qui di seguito) notiamo che, mentre si è notevolmente ridotto il numero dei prelievi a fresco (34.786/46.090), è aumentato il numero degli ovociti per prelievo (7,5 vs 7,4 del 2019) ed è aumentata anche la percentuale degli ovociti inseminati a fresco (71,5% vs 70,4% ovociti prelevati). Sono diminuiti gli ovociti crioconservati (10.489 vs14.569). È aumentato il tasso di fecondazione (71,2% vs 70,6%). Solo 74.871 (il 54,2% dei 137.064 embrioni prodotti da ovociti freschi e scongelati) sono stati dichiarati trasferibili in utero e di questi solo 31.051 (41,47% degli embrioni trasferibili ed il 22,65% degli embrioni prodotti) sono stati trasferiti in utero.
I lettori attenti a questo punto dovrebbero chiedersi: perché continuare a bombardare con alti dosaggi ormonali le ovaie delle donne di età più avanzata sapendo che la metà di queste stimolazioni porterà ad una sospensione dei cicli prima del prelievo ovocitario (10,2%) o ad una interruzione dei cicli dopo il prelievo ovocitario (44,1%) ed al ricovero di 148 di queste donne per serie complicazioni?
Inoltre non bisogna continuare ad ignorare gli scarsi risultati ottenuti nei cicli a fresco nelle donne di età ≥43 anni, nelle quali solo l’1,68% di quelle sottoposte a questo trattamento riesce ad avere un figlio in braccio e solo l’1,16% degli embrioni trasferiti in utero riesce a sopravvivere. Anche nelle donne di età 40- 42 anni i risultati sono molto bassi: 5,5% delle coppie trattate riesce ad avere un figlio in braccio e solo il 4,32% degli embrioni trasferiti in utero riesce a vedere la luce del sole.
Il numero degli embrioni sacrificati e di quelli crioconservati è molto più grande e ci si può fare un’idea leggendo la tabella 1. Una situazione analoga si ritrova nei cicli di fecondazione extracorporea omologa con scongelamento di ovociti crioconservati, nei quali le coppie con donne di età ≥43, che hanno avuto un figlio in braccio sono state il 3,41% e quelle di 40-42 anni il 7,51%. Con lo scongelamento di embrioni crioconservati le donne con età ≥43 anni, che riescono ad avere un figlio in braccio sono solo il 9,89%.
Un’attenta valutazione della tabella 58 (qui di sopra) di pagina 119 - da noi modificata - ci ha fatto scoprire che i centri italiani sanno fare anche miracoli: da 3.009 embrioni crioconservati dichiarati negli anni 2005-2008 sono riusciti a scongelarne 8.842! Ai lettori ogni valutazione e commento. A noi sembra che ormai sia giunto il momento improcrastinabile che il Parlamento si chieda se non sia necessario porre un limite alla produzione indiscriminata degli embrioni da crioconservare e degli obblighi per la coppia che la richieda, che debba sottoscrivere nel consenso informato l’impegno a farsi trasferire in utero - anche in più volte - tutti gli embrioni che accetta di far crioconservare e che nel caso ciò non accada le venga comminata la stessa pena prevista per l’abbandono dei minori (art. 591 c.p.).
Lo stesso discorso vale anche per fecondazione extracorporea eterologa. A proposito di quest’ultima nelle relazioni ministeriali non viene mai riportato il numero degli embrioni crioconservati: nel 2020 sottraendo al numero degli embrioni prodotti/scongelati (30.342) quello dei trasferiti in utero (9.755), rimangono 20.587 embrioni di cui non si conosce il destino, che molto probabilmente sono stati crioconservati - come quelli di tutti gli anni precedenti - di cui però non si conosce il numero preciso per cui non si può calcolare, come per l’omologa, il carico/scarico.
Ci chiediamo: Non è giunto il momento di rendere più trasparenti e comprensibili queste operazioni? Dal 2004 al 2020 il 92,75% (1.852.492) degli embrioni prodotti sono stati sacrificati per far nascere 144.786 bambini (1 bambino nato vivo ogni 12,8 embrioni prodotti)!
Alla luce di quanto fin qui esposto risulta evidente che le tecniche di PMA non possono essere incluse tra le prestazioni LEA perché non possono essere considerate terapia della sterilità/infertilità coniugale e perché, oltre all’evidente svantaggio costo/benefici, producono la morte - ormai da oltre 13 anni documentata - della stragrande maggioranza degli embrioni prodotti e l’esposizione al gelo a un non dichiarato destino di centinaia di migliaia di embrioni. Prima delle tecniche di PMA dovrebbero essere inserite nei LEA le Adozioni Internazionali e Nazionali, che oltre a dare a coppie non fertili la gioia di avere dei figli, offrirebbero a tanti bambini poveri, senza famiglia, la gioia di avere una famiglia che si prenda cura di loro e li ami senza esporre altri fratelli a morte certa!!!
L’inserimento nei LEA delle Adozioni Internazionali e Nazionali è certamente più razionale, più giustificabile dal punto di vista costi/benefici, più umano e rispettoso della dignità di ogni essere umano fin dal concepimento, per cui è doveroso attuarlo quanto prima!