Forse non tutti lo sanno, ma Rolls Royce sarebbe l’espressione in codice con cui i pusher e i tossicodipendenti chiamano l’ecstasy. Fin qui nulla di particolarmente rilevante, se non fosse che Rolls Royce è anche il titolo della canzone presentata martedì scorso da Achille Lauro al Festival di Sanremo. Del resto, i versi scritti dal rapper romano offrono ambigue allusioni a varie rockstar “maledette”, precocemente decedute per i loro stravizi: «Sdraiato a terra come i Doors […] A ventisette come Amy (Winehouse, ndr) […] Suono per terra come Hendrix […] Voglio una vita così […] Voglio una fine così». Vita spericolata di Vasco Rossi, esibita anch’essa al Teatro Ariston ormai ben 36 anni fa, pare roba da educande, in confronto.
Per quale motivo il Festival della Canzone Italiana, un tempo palcoscenico del bel canto, dei buoni sentimenti e delle buone maniere, oggi si presta a messaggi così controversi come denuncia Striscia la Notizia? Business? Pubblicità facile? Di certo, migliaia di famiglie italiane sono preoccupate tanto per la diffusione della droga quanto per la popolarità di personaggi dello spettacolo che, in modo più o meno subdolo, vi inneggiano. Secondo lo psichiatra Paolo Crepet, veicolare il messaggio della droga attraverso la musica è già di per sé un atto fortemente discutibile, tuttavia, come da lui stesso dichiarato a Pro Vita, il problema andrebbe affrontato a monte: il business del narcotraffico non coinvolge un numero così limitato di persone e gli interessi che suscita sono più ampi di quanto si creda.
Crepet, cosa ne pensa dell’ultima controversia sanremese, la canzone di Achille Lauro che parlerebbe di droga?
«Non ho ascoltato la canzone, ho letto qualcosa sui giornali ma non riesco a dire molto di più. Non entro nel merito del brano di cui mi parla, tuttavia, qualunque canzone di Sanremo (ma anche non di Sanremo) che veicoli quei messaggi in cui sia contenuto un inno all’utilizzo di droghe, è moralmente eccepibile».
Non trova significativo che Sanremo, un tempo palcoscenico della tradizione canora e dei buoni sentimenti, oggi si presti a messaggi di tutt’altro tipo?
«Se anche si trattasse di una canzone che gira a Domenica In, il problema si porrebbe lo stesso. Chiunque scriva testi in cui si inneggia alle droghe di qualunque tipo ma anche all’alcool, è moralmente da condannare. Se poi lo si fa in una tribuna così ascoltata e gremita di persone, credo che sia ancora peggio, però il principio rimane lo stesso».
Venendo nello specifico al problema della droga, perché, secondo lei, c’è così tanta disinformazione sui danni che arrecano?
«Il problema non è la disinformazione ma il mercato intorno alle droghe. Tuttavia, poiché non gliene frega niente a nessuno, non credo sia nell’agenda del governo e di nessun politico in questo momento. A Trastevere, dove abito, ogni sera c’è sempre qualcuno per strada che offre droga. È un mercato che il Comune di Roma fa finta di non ignorare o non può agire. Fatto sta che siamo cittadini indifesi nelle mani del mercato della droga, notoriamente controllato dalle grandi organizzazioni criminali. Noi italiani, non facendo nulla contro di esse, siamo oggettivamente conniventi. Se poi lo Stato italiano o i ministri di competenza faranno qualcosa contro le droghe, io sarò il primo a esserne contento».
Perché l’antiproibizionismo è ancora un argomento così usato?
«Se c’è qualcuno che è a favore della cocaina basta che alzi la mano! La cocaina, ormai, la assumono i 14-15enni: lo so perché li curo. Lo Stato italiano e il governo lo sanno? In ogni città, tutti sanno quali sono i luoghi dove si prende la droga. Ci siamo arresi perché contano più la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra dello Stato italiano, questo è evidente a chiunque. Se io so che c’è la droga e non faccio niente per acchiappare gli spacciatori, per contrastarli, vuol dire che sono sostanzialmente d’accordo. È un business. Con la droga si arricchisce forse soltanto lo spacciatore marocchino di Ponte Milvio? No, va a vantaggio di grandi capitali, alle banche, agli investimenti, ecc. La droga produce denaro e quel denaro viene investito. Ci sono complicità imbarazzanti tra chi investe, ovviamente “cash”. Ci sono magistrati molto bravi e molto noti che conoscono molto bene le transazioni di denaro, dove vengono impiegate, dove fruttano: l’edilizia ovviamente è uno di questi, poi c’è l’acquisto di negozi. È vero o no che al centro di Roma ogni tanto chiudono una gelateria, una pizzeria, poi il giorno dopo la riaprono? È una battaglia totalmente persa, irrecuperabile».
Luca Marcolivio