L’associazione Medici Cattolici Italiani, presieduta da Filippo Maria Boscia, aderisce alla Manifestazione Nazionale “Scegliamo la Vita”, in programma domani a Roma. Per l’occasione il professor Boscia ha spiegato a Pro Vita & Famiglia quali sono gli ideali da riaffermare per tornare a diffondere a una vera cultura della vita.
Professor Boscia, con quale obiettivo il popolo pro life scende in piazza?
«Viviamo in una società in cui sta venendo meno il diritto alla vita, diritto inalienabile e primo dei diritti umani. I Medici Cattolici hanno una sincera passione per la vita e, come operatori sanitari, condividono l’iniziativa, perché conoscono i volti delle centinaia di persone e delle centinaia di bambini che purtroppo vengono privati della possibilità di continuare a vivere. Credo sia giunto il tempo di una riflessione seria, non è più possibile contare su un ulteriore sviluppo della civiltà che non proponga un modello di aiuto alla vita. Per fortuna, c’è ancora chi parla e chi scrive di diritto a nascere e di prevenzione all’aborto. Per fortuna c’è ancora qualcuno che continua a riflettere sull’ultimo miglio della vita. Per fortuna c’è ancora qualcuno che evoca un intervento come quello di una manifestazione, per ostacolare il silenzio, la neutralità e la censura, che sono tutti nemici della vita».
Che messaggio vorreste portare domani alla manifestazione?
«Nessuno parla di aborto o di morte. Si usano acronimi come “IVG”. Qualche donna mi dice che IVG significa “pulire l’utero”, come se l’utero fosse una stoviglia… Questo è il motivo per cui si è banalizzato un atto che, viceversa, dovrebbe far comprendere a quella donna che sta distruggendo una vita. Purtroppo, questo tipo mentalità ancora serpeggia e continua ad andare avanti. Vogliamo azzerare una vita, in nome dell’interesse del malato e lo facciamo in modo asfissiante, perché forse ci manca la possibilità di avere una casa in cui accogliere sia i nati che hanno bisogno di sostegno, sia gli anziani che hanno anche bisogno di assistenza. Bisognerebbe, piuttosto, avere la capacità di stare vicini ai sofferenti. Quando c’è una difficoltà per una donna a portare avanti una gravidanza, non dobbiamo scegliere la strada più facile ma la strada di una relazione di aiuto che può concretizzarsi solo in una relazione di ascolto, in quelle che io chiamo le “quattro A” dell’accogliere, ascoltare, abbracciare ed assumere. Il mondo non ha bisogno di distruttori della vita, ha bisogno semmai di persone interessate a fasciare le piaghe che si stanno creando in questa sanità malata. Abbiamo bisogno di medici che vadano ad accompagnare con abilità, esperienza, saggezza, empatia, serietà e umanità ogni azione protesa alla difesa della vita, di quella vita che non può essere etichettata come degna o non degna di essere vissuta».
Ritiene sia un buon segno l’adesione di oltre un centinaio di associazioni alla manifestazione?
«Nella società odierna incontriamo molte famiglie incapaci di prendersi cura di se stesse. Non è quindi una problematica sanitaria, è un problema demografico, sociale, occupazionale. In più, la tecnologia ha sconvolto la naturalità della procreazione, non si concepisce più a casa, non si nasce più a casa, né si muore più a casa. Quindi è una società che deve occuparsi non soltanto delle sofferenze degli uomini ma del lavoro, della nutrizione e di tante problematiche a trecentosessanta gradi. Ben venga, quindi che della tutela della vita si facciano carico un ampio numero di associazioni, le quali hanno la possibilità di alzare la voce, rompere la censura e il silenzio e proclamare il valore di ogni vita, a partire dalla vita che soffre. L’obiettivo è che i diritti e la dignità dell’uomo siano più radicati nella coscienza di chiunque. Dobbiamo dialogare tra noi se vogliamo difendere la vita. È davvero importante, quindi, contare sull’impegno di tutti per ritrovare speranza perché bisogna avere il coraggio di dire la verità: la vita di ogni essere umano è sacra. Dobbiamo anche essere presenti tra i giovani, che in questo momento non hanno sufficienti motivazioni per passare da cadute tipo quella dell’aborto ad un rialzarsi per accogliere la vita che nasce e anche la vita che soffre».
Domani, a piazza San Giovanni, testimonieranno donne che hanno abortito o che, al contrario, hanno evitato l’aborto. Quanto è importante la testimonianza per la vita?
«Il problema più grande è che la vita è stata per troppo tempo assolutamente banalizzata. Io credo che dobbiamo dire la verità: non possiamo essere accondiscendenti in nessun caso alle richieste di aborto. Oltretutto la mia esperienza è che, con l’aborto, si perde di vista che le famiglie che lo richiedono hanno bisogno di essere sostenute. Ci troviamo, al contrario, in una società che annulla in modo radicale il sostegno, che non vuole più operare in scienza e coscienza, che non vuole vedere l’altro come una persona. Ovviamente, poi, si intravedono le tante solitudini di tutte quelle povere donne che, abbandonate a loro stesse, non vengono nemmeno sostenute. Dovremmo avere la coscienza di percepire e far accettare la vita, essere capaci di aiutare nelle crisi, essere consolanti, andare incontro a queste situazioni per animare una prassi di vita buona. Se la società odierna è così mortifera è perché non siamo stati in grado di toccare questo tipo di dolore. Non siamo stati in grado finora di prendere per mano e accompagnare sugli aspri sentieri della vita, con sensibilità, con compassione, con compressione e con empatia, coloro i quali si trovano in queste situazioni. Se non lavoriamo per un radicale cambiamento della società, continueremo ad essere ammalati, ad avere una sanità ammalata e a coltivare delle politiche di scarto. Si dice che abortire è facile, io dico che è difficile curare le ferite profonde che un aborto può lasciare. Dobbiamo anche opporci agli editti legislativi, alle leggi inique, porre fine alle elaborazioni mediche per interrompere la vita, per far cessare con essa, le sofferenze sociali, le malattie o la disabilità».