La legge penale nasce per difendere i valori fondamentali della società (vita, onore, proprietà ecc.); prevede i comportamenti che li offendono, la pena che deve seguire all’offesa e affida al giudice il compito di stabilire chi e come dovrà essere giudicato.
Ma il legislatore è onnipotente, può istituire campi di concentramento di qualunque colore e legalizzare l’aborto, fare leggi ingiuste, cosi come il giudice può mandare al patibolo una regina innocente. Ecco dunque la necessità di stabilire dei principi capaci di contenere il più possibile l’arbitrio del legislatore da un lato, quello del giudice dall’altro. Non basta a questo scopo il principio di legalità , nullum crimen sine lege, per cui si può essere puniti solo in virtù di una legge entrata in vigore prima che il fatto sia stato commesso. Occorre da un lato che la legge tuteli un valore già preesistente nella coscienza della collettività e da questa sentito come tale, e che non utilizzi la sanzione penale per imporre nuovi “valori” funzionali ad un contingente programma di potere ed espressivi di una determinata ideologia. Occorre dall’altro che possano essere punite soltanto azioni oggettivamente individuabili perché definite e descritte dalla norma incriminatrice in modo tale da non lasciare al giudice un incontrollabile spazio di “creatività” e di arbitrio.
Questi principi basilari segnano inevitabilmente la linea di discrimine tra uno Stato attento a tutelare con leggi adeguate le esigenze reali di una buona convivenza comune, e lo Stato che usa la legge per imporre alla collettività una determinata ideologia o un’etica nuova artificiosamente indotta per fini propri o come mezzo di controllo sociale .
Sulla base di queste premesse, è evidente ictu oculi come il Disegno di legge arrivato adesso alla Camera per la discussione con la dicitura “Norme contro l’omofobia e la transfobia” rappresenti un vero e proprio paradosso sotto il profilo giuridico e una minaccia di incommensurabile portata per le strutture portanti della società, ma si armonizzi perfettamente con quella mentalità totalitaria rimasta apparentemente sotto traccia in più di mezzo secolo di retorica democratica, e che è poi uscita allo scoperto trovando condizioni ideali di espansione sul terreno di un planetario disfacimento culturale.
Esso si presenta come ampliamento della legge di ratifica 13 ottobre del 1975 sulla propaganda e sulle discriminazioni ispirate da motivi razziali sopravvissuta alla legge n. 85 del 2006 che, depenalizzando alcuni dei c.d. reati di opinione, fu salutata dall’allora Guardasigilli quale legge che per questo aveva “alzato il tasso di democrazia” dell’Italia: segno che si tratta di un tasso variabile e che anche la democrazia può essere soltanto un’opinione.
I casi contemplati sono quelli di “diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio omofobico”, di “atti di discriminazione” o di “violenza commessa in qualsiasi modo per motivi di omofobia”. Viene dunque assunto come criterio di fondo quella “omofobia” elaborata in sede comunitaria e, al di là di ogni incongruenza lessicale, introdotta mediaticamente nel linguaggio comune con l’ormai acquisito significato di avversione verso le condotte omosessuali e transessuali. Poiché vengono puniti comportamenti volti a comunicare questa avversione o motivati da essa, emerge che l’omosessualità e la transessualità sono i valori protetti da queste norme in cui figurano, appunto, come “beni” meritevoli di tutela penale. Non solo: si tratta di valori tanto vitali e intoccabili che anche un atteggiamento interiore ostile li può mettere in pericolo e va perciò prevenuto e represso. Così, a chiunque si presenti portatore di tali “valori” in virtù del proprio costume sessuale “particolare”, il sistema penale è chiamato ad assicurare una tutela ad hoc ben più ampia di quella garantita al comune cittadino e della quale già tutti godono.
Per valutare la portata surreale di questa trovata che minaccia di trasformarsi in norma imperativa e stravolgere così i principi fondamentali dell’ordinamento, si può immaginare come analoga protezione potrebbe essere invocata per una serie infinita di soggetti in virtù delle loro inclinazioni, scelte di vita o caratteristiche personali, quali quelle dei cultori di caccia e pesca, degli obesi, dei fumatori di sigaro toscano, degli appartenenti a certe tifoserie calcistiche, dei nostalgici delle corse di cavalli, dei cattolici ortodossi cultori del rito tradizionale, e via discorrendo.
Ma la insensatezza del presupposto e la sua inaudita pericolosità si manifesta in pieno nelle singole figure di reato.
La prima punisce con la pena fino ad un anno e sei mesi di reclusione la diffusione di idee omofobiche e transfobiche (!)
E si vede come la compatibilità con il principio della libertà di manifestazione del pensiero non abbia turbato gli intrepidi componenti della Commissione Giustizia, insensibili questa volta al famoso “tasso di democrazia”.
Poiché l’articolo 21 della Costituzione non pone indicazioni di contenuto, una certa giurisprudenza ansiosa di dimostrare la legittimità di alcune manifestazioni blasfeme, ha sostenuto che non debbono essere posti limiti alla libertà di manifestazione del pensiero. Se questo è il metro di valutazione, la norma in questione dovrebbe risultare palesemente incostituzionale. Ma in realtà anche il diritto dell’art. 21 cede di fronte a valori con i quali entra in conflitto e che sono ritenuti come prevalenti dal legislatore in base al principio del bilanciamento degli interessi, come nel caso dell’articolo 278 c.p. che punisce l’offesa all’onore e al prestigio del Presidente della Repubblica. Di fronte al divieto penalmente sanzionato di diffondere “idee omofobiche”, si deve dunque dedurre che anche l’omosessualità viene ad essere considerata come un valore collettivo di rango superiore, al pari del prestigio del Presidente della Repubblica. Il che potrebbe suggerire qualche dubbio e magari indurre alla prudenza, che è sempre un buon antidoto contro il ridicolo. Sta di fatto che una norma come quella ideata dal disegno di legge Scalfarotto toglierebbe la possibilità di manifestare una qualunque idea che tradisca disapprovazione per le pratiche omosessuali e transessuali, sulla scorta di una giurisprudenza liberticida che si è già ampiamente pronunciata. Mentre qualunque iniziativa volta a propagandare quelle pratiche in ogni ambiente e in ogni condizione non troverebbe ostacoli di sorta. Una esibizione di effusioni omosessuali al parco giochi potrà essere fatta impunemente, come già accade, perché sarà anche al riparo dalle rimostranze argomentate degli sprovveduti genitori, la cui protesta comporta la reclusione.. Ma anche organizzare una conferenza che avesse a tema l’inopportunità di estendere alle unioni omosessuali il regime pensionistico riservato al coniuge superstite cadrebbe facilmente sotto il primo divieto, per non parlare della manifestata contrarietà a “matrimoni” e adozioni omosessuali.
Vale la pena di ricordare che il reato di opinione è tipico dei sistemi totalitari perché consente di eliminare ogni opposizione critica al regime, come ci ricordano i gulag che hanno ospitato tanti illustri dissidenti del recente passato sovietico. E data la arroganza con cui, in spregio all’elementare buon senso, si pretende di imporre la soppressione di ogni voce critica verso l’imperversante ideologia omosessualista entrata nel catechismo di giornali e televisione, un simile paragone non risulta affatto sproporzionato.
Dalle insidie di una tale normativa si sono messi però già messi al riparo da tempo, con pochissime pur confortanti eccezioni, pastori di ogni ordine e grado, attentissimi ad evitare l’argomento perché il silenzio è d’oro e non reca disturbo allo spirito del tempo.
La seconda e la terza ipotesi riguardano “atti di discriminazione e di violenza” commessi per motivi di omofobia.
Nel nostro sistema penale, attento a contenere anche l’arbitrio del giudice, un fatto per essere punibile come reato deve corrispondere al tipo descritto dalla norma incriminatrice nella sua struttura oggettiva, verificabile dal giudice, in modo che il singolo sappia di che cosa può essere imputato e come potrà eventualmente difendersi in giudizio. Invece nel testo del disegno di legge Scalfarotto la presunta condotta omofobica si manifesterebbe attraverso “atti di discriminazione” o in una non precisata “violenza”, che aprono uno spazio infinito alla fantasia dell’interprete e lasciano il cittadino nella totale incertezza su quanto può essergli imputato, con grave indebolimento del principio di legalità e del correlativo diritto di difesa.
E’ evidente che discriminatoria è qualunque scelta noi compiamo in ogni istante della giornata: dall’acquisto del pane da un fornaio piuttosto che da un altro, dalla scelta del barbiere o dell’idraulico, dalla assunzione di una baby sitter alla iscrizione di un figlio ad un asilo o ad un corso universitario. La norma proposta benevolmente ci concede che potremo continuare tranquillamente a fare le nostre scelte, purché esse non siano informate a motivo omofobico. Potremo quindi licenziare la baby sitter perché usa le maniere forti, ma non perché dimostra non velate tendenze omosessuali. Il paradosso si farebbe tragicommedia se della sua realizzabilità concreta non avessimo già qualche avvisaglia dagli inquietanti scenari internazionali, e se dalla norma proposta non emergesse platealmente il fine, perseguito con ossessiva determinazione, di eliminare qualunque ostacolo all’accesso degli omosessuali a ruoli educativi sicuramente utili anche per propagandare la nuova prepotente ideologia omosessualista.
Inoltre, e questo dilata a dismisura – se possibile – la già illimitata possibilità di vedersi attribuire quali “atti di discriminazione” scelte di ogni genere, ciò che condiziona l’esistenza stessa del reato è il “motivo” omofobico.
Il nostro ordinamento non prevede fortunatamente che possa venire punito un fattore puramente interiore indeterminato e indeterminabile, quale il motivo che muove l’azione. I motivi sono rilevanti soltanto come circostanze aggravanti o attenuanti utili per graduare la pena. Siamo dunque con questo disegno – ancora una volta – già nell’orizzonte di quel diritto penale che non punisce il fatto oggettivo quanto l’atteggiamento soggettivo, un diritto penale utile ai regimi totalitari per il controllo delle coscienze e l’imposizione dell’ideologia di Stato.
Se infatti ci sarà concesso di scegliere una vacanza a Cesenatico piuttosto che a Ibiza o un barbiere piuttosto che un altro, purché non ci siano di mezzo i motivi omofobici, sarà interessante sapere come questi motivi potranno essere accertati in giudizio. Ora, salvo il caso improbabile in cui essi siano stati messi per iscritto, su quali elementi potrà basarsi l’accusa per dimostrare il motivo omofobico appartenendo i motivi a processi puramente interiori, e come ci si potrà eventualmente difendere? E’ facile supporre che il reato venga accertato in via presuntiva, magari proprio in virtù del semplice fatto che il barbiere è risultato essere notoriamente omosessuale. E il malcapitato cliente sarà costretto a dimostrare che lo ha cambiato solo perché sprovvisto di parcheggio. Ci si può permettere di scherzare solo perché già tante mostruosità hanno già preso corpo. Non è un caso che il nostro codice penale, nato dal lavoro di ben altri giuristi, e da ben altra cultura giuridica nonostante la temperie politica, non ammette che il movente possa determinare l’esistenza stessa del reato il quale rimane ancorato saldamente ad un comportamento individuato e individuabile oggettivamente anche al fine di assicurare all’imputato la possibilità di difendersi.
Analoghe osservazioni valgono per la terza figura escogitata in Commissione Giustizia con la non precisata violenza per motivi di omofobia. Il codice non conosce questa forma generica di reato di violenza che si può riempire a piacere con una serie imprevedibile di comportamenti accomunati pur sempre dal motivo omofobico. Ancora una volta non si sa di che cosa si potrà essere imputati, in base a quali elementi si verrà giudicati e in che modo ci si potrà difendere. Insomma, una prospettiva giuridica e culturale “democratica” perfettamente espressiva dell’orizzonte di pensiero in cui si muovono e degli strumenti tecnici di cui dispongono i componenti della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati.
Né poteva mancare a completare il quadro la previsione della pena accessoria, che farebbe persino sorridere per l’intenzione che tradisce, se non richiamasse anch’essa sinistramente i programmi rieducativi ben noti ai regimi comunisti del passato e del presente.
Un disegno di legge, questo, progettato per assicurare a determinate persone, senza alcuna plausibile ragione logica etica e giuridica, una tutela non solo supplementare oltre quella assicurata a tutti i comuni cittadini, ma tale da deprimere i diritti fondamentali di rango costituzionale di ogni altro soggetto non rientrante in quelle categorie che si pretende di valorizzare.
Certo la macchina propagandistica è capace di piegare l’ opinione pubblica espropriata da tempo dei naturali criteri di giudizio. Alla cristiana percezione del bene e del male e al principio di responsabilità è stato sostituito sapientemente da molto tempo in ogni ambito, anche religioso, quell’indistinto senso di colpa freudianamente capace di indurre al disarmo morale e alla rinuncia alla lotta e alla difesa. Un disarmo e una resa morale dell’avversario potenziale, indispensabili alleati per ogni programma di conquista. Questa macchina propagandistica alimenta l’idea artificiale di una supposta condizione di “emarginazione” degli omosessuali, la quale costringerebbe il legislatore ad escogitare la tutela rafforzata di cui lo Scalfarotto si fa promotore. E che potrebbe essere giustificata solo di fronte ad un efferato piano persecutorio ad hoc, ovviamente inesistente e inimmaginabile. Al di fuori di questa ipotesi di fantasia, ci sono già le norme del codice penale che tutelano l’onore, la libertà, la integrità fisica ecc. di chiunque, compresi gli omosessuali in quanto cittadini come tutti gli altri. Certo, in alcuni casi, viene giustamente tutelata una condizione di oggettivo svantaggio o di particolare debolezza come quella che caratterizza i minori, o gli incapaci per menomazione fisica o mentale. Una condizione di inferiorità psico-fisica che è del tutto estranea agli omosessuali, anche perché essi stessi accampano con forza e a forza la propria pretesa “normalità” e capacità di autodeterminazione. Basti considerare come una presunta condizione di emarginazione sociale al giorno d’oggi risulti più che pretestuosa, risibile, dato il bombardamento mediatico filo-omosessualista messo in atto quotidianamente senza alcun rispetto per la libertà di educazione di genitori e maestri ancora non sottomessi alla prepotente ideologia dell’indifferentismo sessuale. Data anche l’impudenza con cui tanti amministratori locali, esosi impositori di gabelle di ogni sorta, finanziano puntualmente “eventi” di elevato contenuto morale e sociale quali le pornografiche esibizioni cittadine della libera Sodomia in libero Stato. E magari concedono a queste minoranze oppresse, per una intera estate, spazi fieristici meritevoli di un impiego di ben maggiore interesse pubblico. Come è accaduto in questi mesi a Padova, città che non manca mai di tradire la propria fama di avanguardia Kulturale.
di Patrizia Fermani