25/02/2025 di Redazione

RU486: hai il diritto di sapere la verità

L’aborto farmacologico, noto come aborto chimico, è spesso presentato come una procedura semplice e priva di rischi. 

Ma cosa accade realmente nel corpo della donna? Quali sono le possibili complicanze? E perché, nonostante i dati scientifici, è stato reso una pratica “fai-da-te”?

Analizziamo i fatti alla luce delle evidenze mediche, per fornire un’informazione chiara e completa su una scelta che comporta, oltre alla soppressione del bimbo concepito, conseguenze critiche anche per la salute femminile.

Cos’è l’aborto chimico?

L’aborto chimico avviene attraverso la somministrazione del farmaco mifepristone, noto anche come RU486. Sviluppato negli anni ’80 dalla casa farmaceutica Roussel Uclaf, è stato introdotto in Italia nel 2009 con l’approvazione dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).

A differenza dell’aborto chirurgico, che avviene in ambiente ospedaliero sotto stretto controllo medico, l’aborto farmacologico è un processo che si sviluppa nell’arco di più giorni e che, sempre più frequentemente, viene condotto senza supervisione diretta, aumentando i rischi per la salute della donna.

Come avviene l’aborto farmacologico?

L’aborto chimico si articola in due fasi:

1. Assunzione della RU486 (mifepristone)

  • Il farmaco blocca l’azione del progesterone, l’ormone necessario a mantenere l’endometrio adatto alla gravidanza.
  • Il concepito, privato del nutrimento essenziale, muore per inedia.

2. Somministrazione delle prostaglandine (dopo circa 48 ore)

  • Viene indotta l’espulsione del feto e dei tessuti gestazionali attraverso contrazioni uterine.
  • Il processo può essere particolarmente doloroso e prolungato.

Se la procedura non è completa, tessuti embrionali possono rimanere nell’utero, aumentando il rischio di infezioni gravi che, in alcuni casi, possono risultare mortali.

Quali sono i rischi e le complicanze?

Già nelle prime linee guida del Ministero della Salute (2010), l’aborto chimico era considerato una procedura da eseguire con prudenza. Veniva infatti sconsigliato a «pazienti molto ansiose, con una bassa soglia di tolleranza al dolore, con condizioni socio abitative troppo precarie, con impossibilità di raggiungere tempestivamente il Pronto Soccorso Ostetrico-Ginecologico».

Tra le complicanze documentate:

  • Emorragie pericolose (con necessità di trasfusioni in alcuni casi).
  • Infezioni uterine gravi (come quelle da Clostridium Sordellii, potenzialmente letali).
  • Dolori intensi e imprevedibili (spesso paragonabili a quelli del travaglio).
  • Nausea, vomito, diarrea, febbre.
  • Fallimento della procedura nel 5% dei casi, con necessità di un successivo intervento chirurgico per la rimozione dei tessuti residui.

Le raccomandazioni ministeriali del 2010 prevedevano ricovero ospedaliero fino al completamento dell’aborto, proprio per gestire eventuali complicazioni. Tuttavia, nel 2020, con le nuove linee guida emanate dall’allora Ministro della Salute Roberto Speranza, molte di queste precauzioni sono state eliminate per ragioni ideologiche e politiche, estendendo inoltre l’utilizzo della RU486 fino alla nona settimana di gravidanza.

L’aborto farmacologico è davvero sicuro?

Sebbene venga spesso presentato come una procedura semplice, la realtà clinica dimostra che più la gravidanza è avanzata, maggiore è il rischio di complicanze. Uno degli aspetti più problematici delle nuove linee guida è l’abbandono della supervisione ospedaliera. Attualmente, in diverse Regioni italiane (come Lazio, Emilia-Romagna e Toscana), le donne assumono la seconda pillola a casa, senza un monitoraggio medico immediato.

Ciò significa che, in caso di emorragia grave, la paziente deve autovalutare il livello di perdita ematica - ad esempio, contando quanti assorbenti maxi riempie in due ore - mentre potrebbe trovarsi in condizioni di malessere, con nausea, vomito e dolori debilitanti. Un approccio che, più che garantire sicurezza sanitaria, sembra basarsi su una logica di riduzione dei costi ospedalieri, ignorando i rischi per la salute femminile.

Conclusioni

L’aborto chimico con RU486 non è una procedura priva di rischi, né paragonabile all’assunzione di un comune farmaco da banco. Si tratta di un processo lungo, doloroso e con potenziali conseguenze gravi, spesso sottovalutate dalla narrazione dominante.

Le evidenze scientifiche dimostrano che:

  • È meno sicuro rispetto all’aborto chirurgico.
  • Comporta un rischio maggiore di complicanze ed emorragie.
  • Espone le donne a un’esperienza dolorosa e potenzialmente traumatizzante.

L’informazione corretta e basata sui dati scientifici è essenziale affinché ogni donna possa valutare consapevolmente le implicazioni di una scelta così traumatica per la propria salute.

Un messaggio per te

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