Siamo alle solite. Dietro ai corsi online contro il bullismo rivolti agli insegnanti, si cela l’indottrinamento gender. Non solo viene chiesto ai partecipanti di qualificarsi come «maschio», «femmina» o «altro» ma viene imposto loro di includere nei piani didattici la questione delle «minoranze sessuali» e di trattarle in conformità agli standard imposti dalle agenzie internazionali, Nazioni Unite su tutte.
Da dove trae origine quest’ennesima operazione orwelliana a sfondo arcobaleno? I corsi online sono stati attivati dal Ministero dell’Istruzione, attraverso la “Piattaforma Elisa” e sono rivolti ai docenti referenti per il bullismo e il cyberbullismo individuati in numero di uno o due in ogni scuola, ai sensi dell’articolo 4 della Legge 71/2017. L’obiettivo di facciata è quello sbandierato ormai da qualche anno a questa parte: combattere il bullismo e, in particolare il bullismo omofobico.
Non basta però semplicemente stigmatizzare l’omofobia (obiettivo peraltro da tutti condivisibile). Bisogna accompagnare tale condanna con una «rappresentazione positiva delle persone lgbt+» e fornire «a colleghi, genitori e ragazzi le informazioni corrette in merito all’orientamento sessuale e all’identità di genere». In altre parole, si sollecita a perseguire «piani didattici che possano stimolare la conoscenza e la curiosità sule tematiche inerenti la sessualità e le minoranze sessuali». Non è sufficiente, quindi, il mero rispetto dei comportamenti sessuali “alternativi”, è necessario interessarsi attivamente a queste realtà. È di tutta evidenza che, se questa «curiosità» diviene indotta o forzata, menti ancora non formate come quelle dei bambini o degli adolescenti saranno spinte a vedere l’omosessualità o la transessualità come qualcosa di positivo o, addirittura, da emulare.
Da notare la «dicitura lgbt+», in luogo dell’ormai “vetusto” e “riduttivo” “lgbt”: quel segno di addizione sta ad indicare le potenzialmente infinite possibilità di autoattribuzione di un genere diverso da quello biologico natale. Non solo ai partecipanti al corso online viene chiesto, nelle schede di valutazione, di dichiararsi «maschio», «femmina» o «altro»; si vuol fare in modo che i ragazzi vengano edotti dell’esistenza di decine di altri generi: si va dagli «agender» ai «pangender», passando dalle «transfemmine», ovvero transessuali che si identificano come femmine, pur avendo sesso biologico maschile, senza per questo essere dei trans donna.
Al di là dei dettagli dell’iniziativa, tra il ridicolo e l’inquietante e comunque oltremodo significativi, il succo della questione riporta al più ampio tema della libertà educativa. Una libertà nuovamente violata e ingannata. Dopo la breve (e felice parentesi) del Ministro Marco Bussetti, che aveva ripristinato la clausola del consenso informato, l’ideologizzazione della scuola torna prepotentemente a dettar legge. In barba alla volontà dei genitori e degli insegnanti meno succubi all’indottrinamento.
di Luca Marcolivio