La querelle di cui stiamo per parlare ebbe inizio quando l'amministrazione veronese guidata dal sindaco Federico Sboarina, aveva impedito l'affissione di dieci manifesti dell'Uaar perché trasmettevano un messaggio “potenzialmente lesivo nei confronti di qualsiasi religione”.
Qual era il motivo della contesa? La scritta riportata sui suddetti manifesti “10 milioni di italiani vivono bene senza Dio E quando sono discriminati c’è l’Uaar al loro fianco”, laddove la D di Dio era sbarrata, trasformando la parola Dio, in “io”, una sorta di sottile denigrazione verso chi mette al centro della propria vita, la fede. Per questo motivo, il sindaco Sboarina ne aveva impedito l’affissione, in quanto trasmettevano un messaggio “potenzialmente lesivo nei confronti di qualsiasi religione”.
Ma la Cassazione ultimamente ha accolto il ricorso contro il divieto d’affissione, da parte dell’Unione Atei e Agnostici Razionalisti, affermando che i “Non credenti hanno stessi diritti dei credenti”. Atei e agnostici hanno lo “stesso diritto paritario dei fedeli delle diverse religioni di professare il loro credo ‘negativo” ed è “vietato discriminarli nella professione di tale pensiero” a cui è concessa “libera propaganda”.
L’unico limite posto dalla Cassazione, valido per tutti, è quello di non offendere “la fede altrui”.
Fa piacere scorgere nella sentenza della Cassazione la convinzione che anche l’ateismo (che nel suo nome presume Dio) sia un credo, una “fede”. Infatti affermare che Dio non esiste è un’affermazione dogmatica, a tutti gli effetti, perché parte da una convinzione la cui inconfutabilità si dà per scontata, pur non essendoci nessuna evidenza scientifica che la dimostri ed è pronunciata paradossalmente proprio dagli oppositori dei vari dogmi di fede, è, insomma, una dichiarazione di fede, priva di dimostrazione scientifica.
Perché specifichiamo e sottolineiamo questo? Perché, se la Cassazione si preoccupa di sottolineare che credenti e non credenti hanno gli stessi diritti, presupposto che ci sembra abbastanza ovvio, tuttavia, con questa scusa, si assiste ormai da tempo ad un vero e proprio diritto all’offesa, alla denigrazione e alla censura, da parte dei non credenti, in nome della loro “libertà di pensiero”. Pensiamo alle battaglie contro i crocifissi nei luoghi pubblici o persino contro le recite natalizie, con la scusa che costituiscano un’offesa verso le altre religioni, così in ragione di ciò, si pretende di abolire tutti i simboli religiosi.
Dunque non si tratta di un’azione che si limita al proprio campo, al proprio orticello: evidentemente non si mira a giocare in difesa ma in attacco. Dunque ci chiediamo se ciò che ha stabilito la Cassazione, ribadendo i medesimi diritti per credenti e non credenti, sarà veramente rispettato da entrambi o da una sola delle parti, mentre l’altra, in virtù di questa dichiarazione si sentirà in dovere di continuare a censurare ciò che non comprende o che considera semplicemente irrazionale. Perché forse, a differenza di quanto stabilito dalla Cassazione, è probabilmente vero il contrario: che non solo gli atei, oggi, nella nostra società non sono discriminati ma, al contrario, tendono a considerare i credenti come figli di un Dio minore, perché privi, ai loro occhi, di idee degne di questo nome e nemici della scienza.
di Manuela Antonacci