A metà di questa settimana - peraltro a pochi giorni dalla sentitissima festa di San Gennaro -, la città di Napoli è stata letteralmente invasa da manifesti anticristiani. Proprio così: una impressionante carrellata di messaggi blasfemi, contenenti varie tra imprecazioni e bestemmie, ha riempito le vie del centro del capoluogo partenopeo, creando uno scandalo che, comprensibilmente, ha attirato l’attenzione di molti media nazionali.
Da quanto è dato capire, tali affissioni – contenenti, lo si ripete, frasi blasfeme abbinate a brand e loghi molto noti (come quello della Disney o della pubblicità del Crodino) – sono opera di “artisti” ospiti della mostra «Ceci n'est pas un blasphème», festival delle arti «per la libertà d'espressione contro la censura religiosa» in corso al Palazzo delle Arti di Napoli, appunto, dal 17 al 30 settembre.
Trattasi di un evento patrocinato dal Comune di Napoli, la cui amministrazione ha però negato di essere stata al corrente dei manifesti blasfemi dei quali, anzi, ha annunciato la rimozione. «I manifesti verranno rimossi perché sono abusivi», ha dichiarato in proposito Annamaria Palmieri, che guida l'Assessorato all'Istruzione, Cultura e Turismo – che è co-promotore della citata mostra -, «Napoliservizi provvederà, come con tutte le affissioni abusive indipendentemente dal loro oggetto, a rimuoverle».
Ora, al di là di come questa vicenda andrà effettivamente a finire, ci sono alcune considerazioni che possono, anzi debbono essere svolte a partire da questi fatti. La prima concerne le parole con cui l’Amministrazione partenopea ha disposto la rimozione di questi manifesti, e cioè «perché sono abusivi». Il fatto invece che fossero profondamente blasfemi andava invece bene? La lesa sensibilità dei cristiani non conta cioè assolutamente nulla? Non rileva?
Una seconda annotazione critica su questa storia riguarda poi la citata «libertà d'espressione contro la censura religiosa»; da quanto emerso, pare che i manifesti in questione non fossero genericamente antireligiosi ma, per lo più, anticristiani. Pure qui un dubbio sorge spontaneo: come mai? Perché non a Napoli ma nell’intero mondo occidentale la dimensione antireligiosa si riduce, in concreto, a quella cristianofobia? C’è forse paura di ledere i diritti chi ha altre fedi religiose, mentre contro quella cristiana, viceversa, tutto è concesso?
Un terzo ed ultimo pensiero riguarda, infine, la citata cristianofobia. Quando si capirà che le aggressioni, le offese e le discriminazioni contro i cristiani costituiscono un problema anche in Occidente e in Europa? Solo nel 2019, nel Vecchio Continente, sono stati i 3.000 luoghi di culto cristiani attaccati. E se dalla dimensione continentale si passa a quella nazionale la situazione non migliora, anzi, come prova il caso della Francia, dove dal 2008 al 2019 gli atti anticristiani sono aumentati del 285%.
La situazione non pare più serena nel Regno Unito, dove ogni giorno si verificano almeno tre atti riconducibili all’ostilità verso il cristianesimo, e neppure nella nostra penisola come prova, appunto, anche quanto accaduto a Napoli nelle scorse ore. Tutto questo alimenta un dubbio finale che, in realtà, si configura come carico di amarezza, e cioè: perché tutte le minoranze – quella Lgbt, quella straniera, quella composta da fedeli di altre religioni – godono di giuste tutele, mentre verso quella dei cristiani praticanti, a tutti gli effetti una minoranza, tutto è permesso?
Si tratta di un dilemma che, da alcuni anni, diversi osservatori pongono e che non ha mai avuto una risposta; forse perché la risposta, a ben vedere, è già davanti ai nostri occhi. E fa molto male doverla ammettere.