Quando la pratica del sesso cessa di tener conto della trascendenza della persona e quando l’uomo non sente il valore dell’unione profonda di due in uno, una carne sola un’anima sola, qualsiasi pulsione trova il razionale nell’implausibile, fino alla relazione sessuale ed emotiva tra uomo e robot.
Trepida infatti l’attesa: il prossimo trend dell’innovazione scientifica entrerà nella privacy degli uomini offrendo loro una compagna immortale.
Matt McMullen, padre delle RealDoll – servizievoli e costosi (dai 3000 ai 10000 dollari) strumenti a consumo dei più grezzi istinti sessuali – con il progetto RealBotix, presentato nel 2015, aspira a superare i limiti della staticità delle tradizionali “bambole del sesso”: si tratta di pupazzi con sembianze di donna con un’intelligenza artificiale che risulteranno all’altezza di relazioni affettive quasi umane con i clienti. Lo scopo principale, stando alle dichiarazioni di McMullen al New York Times, è di creare l’illusione di un reale rapporto con l’utente tale da sviluppare un attaccamento emotivo non solo per la bambola ma anche per il carattere, fino alla presenza di un sentimento amoroso nei suoi confronti. Il team della Hanson Robotics ha, come termine ultimo di questo lavoro di alta ingegneria, una nuova versione RealBotix che avrà autonoma gestione del corpo, così il coinvolgimento potrà dirsi ottimale per l’esigua cifra finale dai 30.000 ai 60.000 dollari. Un progetto che si rifà e supera quello già presente sul mercato, lanciato nel 2010, dall’ingegnere dell’azienda americana True Companion, Douglas Hines, con la bambola Roxxxy (e la versione maschile Rocky), dotata di un’intelligenza artificiale che le consente di memorizzare e capire i gusti del cliente per un costo dai 995 ai 6000 dollari. Questa bambola, coinvolge il compagno costruendo e manifestando una progressiva personalità, scelta tra le cinque a disposizione nel mercato, adattiva e manipolabile, via via sempre più compatibile con quella del cliente.
Alcuni sessuologi, come Michelle Mars, e giornalisti futurologi, come Ian Yeoman, ipotizzano da tempo un futuro nel quale problemi come le malattie sessualmente trasmissibili e la tratta di esseri umani, saranno riservati a memorie passate grazie a vetrine di piacere dei quartieri a luci rosse olandesi ben fornite non di prostitute umane, ma “quasi” umane, oltre l’umano, ovvero prostitute-robot che renderanno difficile distinguere l’essere umano da ciò che tenta di assomigliargli. La sottile linea di demarcazione tra i due è un dato preoccupante a detta di Kathleen Richardson, esperta di robotica, e di Erik Billing, ricercatore svedese di scienze cognitive: secondo i due urge un intervento immediato atto a bloccare tempestivamente questo stridente sviluppo della biorobotica del quale preannunciano catastrofiche ritorsioni nella sfera privata e nelle relazioni umane.
L’universo del transumanesimo mira a fare dell’uomo un oggetto, a prescindere da se stesso, interferendo con l’artificio sull’inconoscibile di questa creatura. Privare di senso l’atto sessuale ha tolto all’uomo il nobile compito di potenziale collaboratore al progetto creativo di Dio, ha perverso la sua natura. Ipotizzare la sessualità come complementarietà di organi, e non di persone, nei suoi fisiologici meccanismi che niente aggiungono a quelli degli altri apparati anatomici, non rende giustizia del fatto che per questa funzionalità noi abbiamo bisogno dell’altro, chiediamo l’altro come persona, senza il quale cade nell’insignificanza ogni gesto sessuale. La sua naturale predisposizione all’apertura di sé appoggia ogni questione a riguardo su un piano esistenziale, motivo per cui è più corretto parlare non di atto sessuale, ma di sessualità, il cui atto non è che parte di un costrutto molto più ampio, ovvero la persona.
Ma di che natura razionale si potrà parlare in un tempo futuro prossimo che non stima l’uomo nemmeno capace di mettersi sentimentalmente in gioco con un altro essere umano? Perpetrare nella costruzione di una cultura del sesso che misconosce il mistero dell’anima che vive intrinsecamente connessa al corpo sta fomentando la solitudine degli individui che sono “geneticamente” incapaci di sopravvivere con essa. Nessun robot umanoide potrà davvero imitare l’irripetibile complessità della creatura, il mistero dell’imprevedibilità psicologica, sentimentale, spirituale di qualsiasi soggetto. Non c’è finzione autocostruita che possa aiutare l’uomo a sollevarsi dal vuoto che sta contribuendo a determinare attorno a sé depositando ogni intenzionalità sul proprio ego e qualsiasi responsabilità al qui ed ora. Se non fosse socialmente comprovata una tale debolezza e fragilità della carne, non ci sarebbe investimento a così alto costo sulle prestazioni sessuali: se ci fosse una conservata consapevolezza che l’intimità è vulnerabilità e la vulnerabilità è finitezza e la finitezza è accettazione dell’altro, non sarebbe desiderabile ed eticamente ipotizzabile un coinvolgimento amoroso con un oggetto nullo.
Il mercato dell’industria del sesso, proponendo una sorta di “autoerotismo assistito”, marcia sulla patologica perversione erotica incentivando coloro il cui equilibrio è già stato sbilanciato e destrutturando quello marginalmente integro di chi sente scuotere la propria curiosità e cede a fantasie poco dignitose. L’allontanamento dalla natura intrinseca del rapporto sessuale, ovvero l’incontro e il mutuo riconoscimento con l’altro, fa parte di devianze, anormali indici di sofferenze latenti. L’entusiasmo sconcertante di molti sulle frontiere future dei prossimi matrimoni tra robot e uomo devono indurci a metter freni consapevoli a questa libertà del piacere che ha corroso la dignità umana, spingendoci a recuperarla in seno alla razionalità di cui siamo portatori sani e non denigrandola cercando smaniosamente la conferma che ogni cosa è determinabile a nulla più che materia. L’uomo androide è il manifesto di una società troppo orgogliosa per amare ed eccessivamente vanitosa per riconoscersi.
Giulia Bovassi