27/05/2013

Sindrome di Down e cura della persona

È essenziale il supporto “alla” e “della” famiglia, per consentire ai bimbi Down di esprimere in pieno le loro grandi potenzialità

La comunicazione della diagnosi di Sindrome di Down (SD) è spesso un evento fortemente traumatico per la famiglia che la riceve e può influenzare negativamente i primi mesi dello sviluppo. Il ginecologo riesce a rispondere talvolta solo parzialmente alle domande che il genitore pone al momento della comunicazione della diagnosi. Da tale comunicazione dipende molto spesso la prima modalità con la quale il genitore si approccerà al nuovo nato e talora la natura delle prime condotte di legame madrebambino.
La SD è la più frequente causa di ritardo mentale su base genetica e la sua incidenza oggi è di 1 ogni 700-1000 bambini nati. È noto che lo sviluppo neuropsichico di ogni persona è condizionato da molti fattori che interagiscono tra di loro: nella SD la componente neurobiologica può condizionare diversi processi mentali e l’assetto cognitivo, linguistico e motorio del bambino è tendenzialmente ritardato. Sul piano affettivo-relazionale nei primi mesi di vita possono esserci difficoltà legate alle dinamiche familiari, prevalentemente la depressione materna, e una conseguente ipostimolazione del bambino.

Ma quali sono le prime risposte che attende un genitore di un bambino con SD? Che immagine ha nella sua mente rispetto al suo sviluppo? Come immagina il rapporto con questo figlio? Cosa pensa che riuscirà a fare questo bambino?

Le linee guida internazionali sottolineano l’importanza di una presa in carico globale e multidisciplinare centrata sulla famiglia già dai primi giorni di vita e l’importanza di attuare protocolli riabilitativi che tengano conto di tutte le aree dello sviluppo del bambino. È altrettanto importante però che l’operatore sanitario informi il genitore circa le potenzialità dello sviluppo del proprio figlio e a trovare le strategie più adatte per favorire la crescita della persona e la sua integrazione sociale e culturale. La famiglia deve diventare, grazie a buone relazioni e collaborazioni con i vari specialisti, il regista del progetto di vita del bambino.
Un progetto quindi circolare, poggiato su una buona alleanza terapeutica.
Se l’ambiente riesce a considerare il bambino un interlocutore attivo e capace, lo mette nella condizione di sviluppare la sua creatività e soggettività sulla base della sua motivazione e delle sue abilità di base. Gli interventi riabilitativi (psicomotorio, fisioterapico, logopedico, psicopedagogico) non sono volti al recupero esclusivo di singole funzioni. Per quanto concerne l’area logopedica, per esempio, è necessaria una presa in carico sin dai primi giorni per favorire il migliore sviluppo della competenza oro-motoria e delle successive competenze comunicativa e linguistica.
Si comprende quindi facilmente l’importanza, sin dai primi giorni, di un counseling parentale per aiutare i genitori a vedere le potenzialità dei loro piccoli. La relazione di attaccamento, infatti, si crea sin dai primi momenti di vita e non è geneticamente predeterminata, ossia non si trasmette attraverso il cromosoma 21, ma si può costruire.
La maggior parte delle famiglie dei nostri piccoli pazienti fa, già dai primi mesi di vita, l’esperienza di un bambino diverso da quello che immaginava durante la gravidanza, ma ammette che la crescita, lo sviluppo e il legame che si creano con il figlio è un legame genitoriale forte e saldo, così come avviene normalmente nella maternità e nella paternità, e che il bambino risponde come ogni altro bambino all’affetto, alle cure, alle indicazioni educative.

di Laura Orazini

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