Il nuovo social business? Vendere il proprio sperma su Facebook!
Sembrerebbe una (terribile) barzelletta, e invece è tutta realtà. Il protagonista è il britannico quarantunenne Simon Watson, mentre le vittime sono i suoi 800 “figli” sparsi per il mondo. Sempre che in tal caso si possa ancora avere l’ardire di parlare di paternità, dal momento che l’unico contributo fornito dal soggetto maschile in questione è stato quello puramente biologico.
Simon Watson, un matrimonio finito alle spalle e una personalità incline al business, ha iniziato la sua attività di “venditore di sperma” sedici anni fa. Così, in maniera informale, sfruttando l’enorme potenziale di connessione con il mondo di Facebook.
Watson ha infatti creato una sua pagina grazie alla quale diffondere e pubblicizzare la sua “attività”. Ed è stato subito un boom, dovuto probabilmente al fatto che ogni campione di sperma (ci rifiutiamo di dire “donazione”) viene venduta alla risibile cifra di 50 sterline (circa 66 euro). Praticamente un regalo, se si considera che in Gran Bretagna le cliniche che offrono un servizio a pagamento richiedono dalle 500 alle 1.000 sterline per ogni ciclo di “trattamento”.
Le garanzie rispetto alla salute del “commerciante” del proprio sperma? Le analisi del sangue pubblicate ogni tre mesi. E questo basti.
Inutile dire che Watson ha così potuto mettere da parte un bel gruzzoletto, oltre ad aver contribuito a generare un considerevole numero di bambini che cresceranno orfani di padre: ma di loro nessuno si cura... In un’intervista rilasciata alla Bbc qualche giorno fa, Watson ha dichiarato: «Di solito ho una richiesta a settimana. Ho fatto il conto di aver avuto almeno 800 bambini finora, in quattro anni spero di superare quota mille. Ho bambini dalla Spagna a Taiwan».
Probabilmente i numeri non corrispondono al vero, dal momento che è difficile pensare che tutte le “auto-inseminazioni” (per chi è interessato, si possono trovare appositi siti che spiegano come sia meglio fare affinché la pratica vada a buon fine...) si siano effettivamente trasformate in gravidanze.
Tuttavia il caso di Watson dovrebbe far riflettere: stiamo mercificando la vita; stiamo generando scientemente bambini orfani; stiamo staccando sempre più l’atto unitivo, dall’atto procreativo. In definitiva, stiamo abbandonando l’umano, che per sua natura vive e si nutre di amore e di relazioni.
Quando si avrà il coraggio di dire basta?
Teresa Moro