«La decisione dell’AiCS, l’Associazione italiana Cultura Sport, uno dei maggiori enti di promozione sportiva riconosciuta dal Coni, di introdurre la Carriera Alias per i propri tesserati, permettendo agli atleti di competere in categorie non corrispondenti al loro sesso biologico, mina l'equità e l'integrità dello sport generando discriminazioni soprattutto per le atlete di sesso femminile. La competizione sportiva deve essere equa e basata sulle capacità fisiche innate, che sono indiscutibilmente diverse tra uomini e donne. È fondamentale preservare questo aspetto per garantire che lo sport rimanga un ambito di sana competizione e di rispetto reciproco. La decisione dell’Aics è inoltre anacronistica e in controtendenza con quanto sta succedendo in ambito internazionale: sempre più federazioni, infatti, stanno vietando agli atleti trans di parteciparvi. L’ultima notizia, di pochi giorni fa, riguarda addirittura le prossime Olimpiadi di Parigi 2024, per le quali ci saranno paletti molto più stringenti per la partecipazioni di transgender. O ancora la World Athletics, la federazione internazionale dell’atletica leggera, ha escluso tutti gli atleti trans che hanno vissuto la pubertà come maschi, lasciando la possibilità di partecipare alle competizioni sportive solo agli atleti che hanno cominciato la transizione in età infantile. Anche la scienza, inoltre, è contraria alla Carriera Alias nello sport: autorevoli studi pubblicati su Sports Medicine e sul British Journal of Sports Medicine hanno evidenziato come con la transizione la perdita di massa muscolare e di forza sia piccola, e quindi il vantaggio rispetto alle donne biologiche venga mantenuto. Invitiamo le istituzioni sportive, gli atleti e la comunità nel suo insieme a riflettere sull'impatto a lungo termine di queste politiche e ad agire in modo che lo sport rimanga un simbolo di equità, rispetto e valorizzazione delle differenze naturali». Così Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia onlus.