Le cure con cellule staminali adulte funzionano. Senza bisogno di coltivare (e distruggere) embrioni in vitro.
Ripetiamo, per chi fosse a digiuno di biologia e genetica, che le cellule staminali sono cellule pluripotenti. Cioè cellule in grado di trasformarsi in qualsiasi organo. Gli embrioni, infatti, nei primi stadi della loro vita sono composti da cellule staminali, che poi andranno differenziandosi in cellule nervose, ossee, cardiache, ecc.
Ma queste cellule staminali sono presenti anche in organismi adulti, per esempio nel cordone ombelicale o nel midollo osseo. Prelevare a scopo curativo cellule staminali dagli organismi adulti offre il vantaggio etico di non dover uccidere alcun embrione, il vantaggio pratico di poter utilizzare cellule prelevate dallo stesso soggetto che ne ha bisogno, escludendo così ogni pericolo rigetto, e il vantaggio economico che queste – a differenze di quelle embrionali – funzionano.
Il Washington Post dice che i ricercatori di Stanford sono rimasti addirittura sbigottiti dalla ottima risposta che hanno ottenuto dall’iniezione di cellule staminali adulte nel cervello dei pazienti con ictus, che hanno recuperato sorprendenti funzioni motorie.
La ricerca è stata condotta solo su 18 pazienti perché si mirava a valutarne la sicurezza più che l’efficacia. E i risultati cominciano a minare la certezza dei neuroscienziati che finora erano convinti che certi danni cerebrali da ictus fossero permanenti e irreversibili.
I risultati, pubblicati sulla rivista Stroke, offrono una speranza concreta per coloro che hanno subito un trauma cranico, lesioni del midollo spinale o per chi soffre del morbo di Alzheimer, se questi test vengono confermati su vasta scala.
Le cellule staminali usate a Stanford provenivano da midollo osseo, non da embrioni.
Eppure, c’è chi continua a denigrare le ricerche con le staminali adulte e a insistere sulla necessità di sperimentare sugli embrioni umani. Eppure, finora, le speranze date dalle ricerche sugli embrioni possono essere quantificate in un grosso grasso zero.
Redazione
Fonte: National Review
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