Dietro la designazione inglese di stepchild adoption, probabilmente adottata per impressionare il pubblico (se è anglosassone sarà sicuramente avanzata e progredita, penserà qualcuno), si nasconde una violenza indicibile, un ulteriore passo verso il compimento di una rivoluzione nichilista senza precedenti nella storia dell’umanità.
Non si tratta solo di una prassi che comporta una sequela impressionante di paradossi e di controsensi. L’adozione del figliastro da parte del compagno (o della compagna) del genitore biologico, in una coppia dello stesso sesso, determina un accadimento epocale, gravido di conseguenze terribili, dalle quali sarà difficile se non impossibile tornare indietro.
Dietro quella che a prima vista sembrerebbe una ragionevole soluzione a tutela dei diritti del bambino si nasconde invece un dramma senza ritorno, che suona inevitabilmente così: per il bambino, per nessun bambino, nessun diritto sarà d’ora in poi garantito. Dopo una violenza di questo tipo, qualsiasi altra violenza sarà presto o tardi accettabile, quindi, prima o poi, accettata (Overton docet).
“Per garantire il diritto del bambino“. Questa è la prima assurdità. È del tutto schizofrenico che prima si neghi la generazione naturale dell’essere umano per sostituirla con la tecnica, quindi con la produzione (sottolineo: dalla generazione alla fabbricazione) in laboratorio (magari con tanto di teatrale frullato di sperma, tanto di moda a quanto sembra, per le coppie omosessuali più facoltose che ricorrono all’utero in affitto), per poi rendere il nascituro già orfano di uno dei due genitori, ancor prima della nascita, con un atto di violenza indicibile, per poi infine invocarne l’adozione. Crono-logicamente, il bambino è stato prima volontariamente posto in una condizione oggettivamente discriminante, poi si pretenderebbe si “risolvere” il problema (ovvero: riparare al danno fatto con lucida determinazione) con una soluzione che in realtà discrimina il bambino una seconda volta.
E in modo definitivo.
E non è irrilevante notare, a questo proposito, che una recente indagine (del 2015: The Unexpected Harm of Same-Sex Marriage: A Critical Appraisal, Replication and Re-Analysis of Wainright and Patterson’s Studies of Adolescents with Same-Sex Parents), dopo aver evidenziato come adolescenti cresciuti con genitori dello stesso sesso sperimentano maggiore ansia e minore autonomia rispetto a quelli cresciuti con genitori di sesso opposto anche se risultano raggiungere migliori risultati scolastici (probabilmente per iper-compensazione rispetto allo status oggettivamente discriminante in cui si vengono a trovare, per colpa degli adulti, rispetto agli altri coetanei), fa emergere un dato sorprendente: dalla comparazione effettuata all’interno del gruppo dei ragazzi cresciuti in famiglie omosessuali, risulta che quelli con genitori “sposati” mostrano sintomi depressivi, crisi di panico e pianto in misura ben maggiore di quelli semplicemente conviventi. Le ragioni di questa disparità sarebbero da rintracciare nel fatto che il matrimonio dei partner dello stesso sesso leva ogni speranza ai bambini di trovare, o ritrovare, il genitore mancante.
Dopo aver messo tutti, non solo i bambini, ma l’intera società di fronte al fatto compiuto, questi adulti tanto ricolmi d’amore per i bambini pretendono infine che siano altri, tutti gli altri, cioè noi, a rispondere alla domanda: “E adesso che si fa?“.
Volete la mia risposta?
Niente. Si fanno le stesse cose che si fanno per qualsiasi altro bambino orfano di padre o di madre. Nella seconda parte motiverò questa posizione.
[Segue...]
Alessandro Benigni
Nota della Redazione: la legge e la giurisprudenza italiana da sempre affidano i bambini orfani a coloro che per gli stessi sono state figure di riferimento fino a quel momento, anche non conviventi (parenti, amici di famiglia). Quindi la legge già protegge il figlio di un genitore gay che dovesse restare orfano dall’abbandono: nulla osta che sia affidato al convivente del genitore (se è persona idonea).
DIFENDIAMO I BAMBINI E LA FAMIGLIA DAI TENTATIVI DI
LEGALIZZAZIONE DELLE UNIONI CIVILI