Bambini e ragazzi con disforia di genere, una volta trascorsa l’adolescenza, si riappropriano del Sè autentico in conformità al loro sesso biologico. È quanto dimostra uno studio durato ben quindici anni e condotto dai ricercatori dell’Università di Groningen nei Paesi Bassi, i quali hanno seguito più di 2.700 bambini dagli 11 anni ai 25 anni chiedendo loro ogni tre anni cosa provassero riguardo al loro genere. All’inizio della ricerca circa un bambino su 10 (11%) esprimeva «insoddisfazione di genere» a vari livelli. Ma all’età di 25 anni solo uno su 25 (4%) ha affermato di essere «spesso» o «a volte» insoddisfatto del proprio genere. I ricercatori hanno dunque concluso che «i risultati del presente studio potrebbero aiutare gli adolescenti a rendersi conto che è normale e relativamente comune avere qualche dubbio sulla propria identità di genere durante l’adolescenza. Come sa chiunque sia stato un adolescente, la pubertà e i suoi effetti collaterali possono essere un periodo confuso di sbalzi ormonali, cambiamenti fisici e insicurezza sociale».
Patrick Brown, membro dell’Ethics and Public Policy Center, ha dichiarato a tal proposito che «questo studio fornisce ancora più ragioni per essere scettici nei confronti dei passi aggressivi volti a facilitare la transizione di genere nell’infanzia e nell’adolescenza».
A bambini e adolescenti è stato chiesto di rispondere alla domanda: «Desideri essere del sesso opposto?», monitorandone le risposte date in sei momenti diversi nell’arco di circa 15 anni. La risposta suggeriva la scelta multipla: «0-Non vero, 1-Un po’ o qualche volta vero e 2-Molto vero o spesso vero».
Alla luce delle risposte registrate lo studio – pubblicato sulla rivista Archives of Sexual Behavior –ha rilevato che complessivamente «il 78% dei partecipanti ha avuto gli stessi sentimenti riguardo al proprio genere nel corso di 15 anni; circa il 19% è diventato più soddisfatto del proprio genere e solo il 2% circa si è sentito meno a proprio agio». In particolare si è osservata tra le ragazze una correlazione stretta tra la disforia di genere manifestata e una diminuzione della propria autostima, legata anche a disturbi del comportamento e problemi emotivi.
Eppure «negli Stati Uniti 1,6 milioni di persone dai 13 anni in su si identificano come transgender; i bambini sotto i 18 anni rappresentano ora un quinto delle nuove diagnosi ogni anno». È quanto rileva questa volta un rapporto della società di analisi dei dati sanitari Definitive Healthcare, il quale mostra che il tasso di disforia di genere è aumentato dal 2018 al 2022 in tutte le fasce d’età e in tutti gli Stati, eccetto il South Dakota. Gli aumenti più marcati sono stati osservati in tre Stati: Virginia (274%), Indiana (247%) e Utah (193%), mentre il South Dakota ha registrato un calo del 23% tra il 2018 e il 2022. Tale rapporto ha anche riscontrato che il numero di interventi chirurgici per la transizione di genere effettuati è in rapido aumento, arrivando fino al 40% in alcuni anni.
Di qui il dottor Jay Richards, direttore del Richard and Helen DeVos Center for Life, Religion and Family, ha ribadito nel merito: «Sappiamo da oltre un decennio che la maggior parte dei bambini che sperimentano disagio e angoscia rispetto al proprio corpo risolvono tali sentimenti dopo la stessa pubertà. Inoltre possiamo dedurre dal DSM-5 e da altre fonti che ben l’88% delle ragazze con disforia di genere e fino al 98% dei ragazzi con disforia di genere nelle generazioni precedenti desistevano se gli veniva permesso di attraversare la pubertà». Alla luce di tali considerazioni lo stesso professore definisce quindi la prescrizione di terapie ormonali e interventi chirurgici per la transizione di genere come «un oltraggio nei confronti dei minori che alla fine porta alla sterilizzazione e, in molti casi, alla perdita completa delle funzioni sessuali naturali. Inoltre non ci sono prove concrete che ciò aiuti i minori a lungo termine e medicalizza quelli che potrebbero benissimo essere sintomi psicologici temporanei. La storia giudicherà tale medicalizzazione a danno dei minori come ora giudichiamo l’eugenetica e le lobotomie».