Un giudice texano ha dichiarato incostituzionale la legge che limita il ricorso all’aborto approvata nel luglio scorso dal Parlamento dello stato. Passata a fatica dopo che il primo tentativo di approvazione era fallito per l’ostruzionismo dell’opposizione liberal, la norma vieta di praticare qualsiasi interruzione di gravidanza dopo la ventesima settimana di gestazione, e impone alle cliniche abortive del Texas di adeguarsi agli standard richiesti a ogni struttura ospedaliera in cui si effettuano interventi chirurgici. Obbligo, quest’ultimo, che per molte strutture si sarebbe tradotto in pesanti costi di adeguamento, mettendo in crisi un business milionario. Un terzo delle 36 cliniche di Planned Patenthood si sarebbe trovato a rischio chiusura, e così il colosso degli aborti Usa ha fatto ricorso contro la legge al tribunale distrettuale di Austin.
L’ABORTO COME EMERGENZA. La sentenza è arrivata lunedì, esattamente il giorno prima che il testo entrasse in vigore. Secondo il giudice Lee Yeakel, la parte della legge relativa all’adeguamento delle cliniche abortive «non ha basi razionali», sebbene gli stessi requisiti siano richiesti a tutte le altre strutture del sistema sanitario per la sicurezza dei pazienti. Le nuove regole, infatti, sono tese a sgomberare quella “zona franca” di malasanità che in passato ha portato a vicende come quella di Tonya Reaves, morta dissanguata nel 2012 dopo un aborto in una clinica di Chicago. Tuttavia il giudice Yeakel si è appigliato all’eccezione normalmente accettata per i ricoveri in pronto soccorso: in quei casi l’urgenza giustifica l’eventuale mancato rispetto di tutti i requisiti sanitari previsti dalle leggi. Come se abortire fosse una questione di vita o di morte per le madri.
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di Benedetta Frigerio