Con la complicità dei media patinati e non, da La Stampa a Repubblica, fino a Elle, le “scuole” per drag queen sono una realtà che definire assurda e choccante è forse poco.
«L’idea è nata per gioco (gioco??? ndr), soprattutto su richiesta di alcune donne che volevano migliorare il proprio portamento e imparare a camminare con i tacchi», spiega a Repubblica Dario Bellotti, in arte Barbie Bubu, attore e trasformista, che si esibisce come drag queen da 21 anni, fondatore dell’Art Studio Drag Queen. Al “corso”, infatti, partecipano sia uomini che donne.
Tanto per cambiare l’impostazione dell’iniziativa è all’insegna del gender fluid più spinto. Sembra quasi che più le idee sono confuse, meglio è: «La drag queen non è per forza omosessuale può essere anche una donna, si chiama bio queen», spiega ancora Bellotti, in un video postato sulla pagina Facebook de La Stampa. Non può mancare il riferimento alle lotte per i «diritti omosessuali» che le drag queen incarnano. «In vent’anni è cambiato tutto», aggiunge l’artista, «abbiamo tolto parecchi blocchi, ci sono meno pregiudizi. Le persone hanno capito che essere drag queen non significa essere volgari o vendere sesso, ma semplicemente divertirsi».
Intanto Bellotti gongola per l’“evoluzione” che questi personaggi hanno conosciuto negli ultimi anni: se prima erano quelle che portavano «folclore» alle manifestazioni, oggi «le abbiamo portate nei teatri».
Giancarlo, un allievo (peraltro non giovanissimo) della scuola per drag queen non riesce a contenere tutto il suo entusiasmo: «Cosa mi affascina? Il fatto di essere qualcosa che nella vita forse non potrò mai essere. La drag queen invece è proprio diva per definizione». La scuola per drag queen, a suo dire, aiuterebbe a «superare i limiti che uno ha» e a vincere i «tanti pregiudizi» e «preconcetti che uno ha in testa».
Sul fenomeno, già di suo, ci sarebbe molto da discutere anche se coinvolgesse soltanto adulti. Invece, dai servizi che stanno girando in queste settimane, emerge che a frequentare i corsi per drag queen a Torino sono anche tanti minori. Non solo adolescenti, anche bambini. Alessandro (nome di fantasia, mentre sui social viene usato il suo nome vero ma noi preferiamo evitare) ad esempio, ha intorno ai 9-10 anni e il suo sogno è «essere Elektra Bionic perché innanzitutto è bellissima». La mamma è totalmente dalla sua parte, al punto che, afferma, «per me vederlo felice è la cosa che mi riempie». Tutti i «sacrifici» che una madre può fare per il figlio «svaniscono perché so che lui è contento, è felice e va bene così».
Il giornalista non manca poi di fare la domanda capziosa: «C’è molta discriminazione su queste tematiche… avete per caso subito qualche attacco?». La mamma di Alessandro risponde affermativamente: «Purtroppo sì, la discriminazione c’è, quello che mi fa più male è che parta dalle famiglie… una persona adulta che lo insegna a un bambino». Al figlio dice sempre di «non attaccare» ma di «difendersi».
L’interrogativo più importante, tuttavia, è: che bene può fare (noi crediamo l’esatto opposto) alla crescita di un bambino essere portato ad una scuola di drag queen? È la domanda che anche noi di Pro Vita & Famiglia, con rispetto, rivolgiamo al signor Bellotti, alla mamma di Alessio e al giornalista che l’ha intervistata.