Sindaco nuovo, vita vecchia. Così vanno le cose a Torino sul fronte lgbt, dove i due candidati al ballottaggio si profilano in perfetta continuità con il primo cittadino uscente Chiara Appendino. Sia Stefano Lo Russo (centrosinistra), che Paolo Damilano (centrodestra) sono totalmente allineati su unioni civili, trascrizioni dei figli di coppie omogenitoriali, Torino Pride e Lovers Film Festival.
Unico distinguo da parte di Damilano: «Avreste dovuto difendere il mio diritto di non recarmi al Pride». Così il candidato civico appoggiato da Lega e Fratelli d’Italia, durante il suo confronto con lo sfidante, ospitato proprio dal coordinamento del Torino Pride. Una puntualizzazione un po’ fuori luogo, dal momento in cui nessun militante Lgbt aveva rinfacciato a Damilano la sua assenza all’evento. Per il resto, massima collaborazione e «nessuna preclusione» a riguardo. Nemmeno la trascrizione degli atti di nascita dei figli di coppie omogenitoriali è un tabù per lui. «Non ho nessuna intenzione di fare un passo indietro sulla conquista dei diritti da parte della Città. Auspico che le leggi si pronuncino», ha rassicurato Damilano alla platea arcobaleno. Sentendosi quasi spiazzato, Lo Russo tenta la fuga in avanti e dice: «Come sindaco proverò a dare una sveglia al Parlamento». Va ricordato che la Appendino era stata il primo sindaco a dare l’avallo alle suddette trascrizioni, senza l’autorizzazione di alcun tribunale.
Anche sul Lovers Film Festival, la rassegna cinematografica a sfondo lgbt, le divergenze tra i due candidati sono poco più che procedurali e pressoché irrilevanti. Damilano vorrebbe abbinarlo al Torino Pride, affinché la sfilata dia visibilità al Festival. «Penso che il cinema sarà un motore per la città», afferma l’aspirante sindaco di centrodestra. Lo Russo vuole tenerli distinti ma, in fin dei conti, sono dettagli. Del resto, i candidati convergono persino sulla possibilità per i dipendenti transessuali comunali di cambiare il proprio nome.
Ancora una volta, è Lo Russo a smarcarsi e a tacciare il centrodestra di arretratezza sui diritti, nonostante gli sforzi e le dissimulazioni. La tesi avanzata dal candidato dem è che il presidente forzista della Regione Piemonte, Alberto Cirio, avrebbe una mentalità piuttosto liberal ma, per venire incontro all’ala conservatrice facente capo all’assessore Maurizio Marrone, avrebbe dovuto ingoiare il “rospo” dell’ingresso dei pro-life nei consultori. Nuovamente colto in contropiede, Damilano cerca di giustificarsi: «Ho trovato questo incontro tendenzioso, fatto per mettere in difficoltà la mia coalizione». E si lamenta: lui è «per la difesa di ogni diritto» eppure continua ad essere «attaccato come fossi l’uomo nero».
Una pessima mossa, quella di Paolo Damilano, per vari motivi, non tanto e non solo etici quanto elettorali. Anche in una città secolarizzata e dai costumi liberi come Torino, andare a caccia di voti lgbt è un’operazione quantomeno sterile, in quanto si tratta di un elettorato numericamente piuttosto esiguo e comunque più che radicato in un centrosinistra da una decina d’anni alquanto affidabile e generoso in fatto di nuovi diritti. Messo di fronte a due candidati dalle manifeste simpatie arcobaleno, l’attivista lgbt tenderà a preferire l’“usato sicuro” e il politico dalla denominazione di origine protetta nel suo ambito di riferimento.
Di contro – e questa è la ragione che più di ogni altra renderà controproducente la svolta gay friendly del centrodestra torinese – Damilano dovrà rendere conto a un elettorato ben più vasto e decisivo, rappresentato dalle famiglie e, in particolare, dalle famiglie numerose, notoriamente allergiche a tutte le stravaganze ideologiche. La laica e “open minded” Torino è pur sempre una delle città che lo scorso 26 giugno più entusiasticamente ha risposto alla manifestazione #restiamoliberi contro il ddl Zan. Un popolo che esige risposte nette e decise in tema di rispetto della famiglia naturale e della libertà educativa, di fronte a candidati così ambigui, rischia seriamente di incanalarsi verso una prassi di questi tempi particolarmente in voga: l’astensione alle urne.