Ci eravamo già occupati dell’Università di Torino, a proposito dei corsi sull’omosessualità e dei diritti Lgbt, divenuti curricolari in questo Ateneo. Ma adesso ecco che l’università ci sorprende con un’ulteriore novità all’insegna… del politicamente corretto forse? O forse dovremmo dire, del laicismo, nel senso più becero del termine?
E sì perché la recentissima mannaia ideologica dell’ateneo di Torino, si è abbattuta stavolta, direttamente sui simboli religiosi che ha deciso di bandire, insieme a quelli politici. L’Università, per la precisione, ha deciso di bandirli dalle classi virtuali, dove si svolgono gli esami a distanza. In realtà il divieto era contenuto in una bozza di regolamento per gli esami online.
Per la precisione, nel documento, venivano invitati i docenti a «ricordare la necessità di rendere l’ambiente circostante idoneo allo svolgimento della prova» ovvero a togliere di mezzo fogli con annotazioni di vario tipo, ma anche a far rispettare l’obbligo di tenere acceso il microfono del pc — per scoraggiare eventuali suggeritori nascosti dall’inquadratura della webcam. E fin qui, normale prassi.
Ciò che invece ha suscitato scandalo e polemiche è stata la richiesta di «non inquadrare simboli politici o religiosi». Una sorta di immotivata furia iconoclasta laicista che, in realtà, in nome del rispetto di tutte le identità, ne genera, invece, di fatto, direttamente il livellamento e la distruzione. E già perché impedire di esporre il simbolo della propria fede, per di più in casa propria, è innanzitutto una gravissima ingerenza nella vita privata e nelle credenze che ciascuno studente ha tutto il diritto di avere e poi, infrange l’articolo 19 della Costituzione che sancisce la libertà religiosa, come diritto a manifestare anche pubblicamente la propria fede. Una patina invece di falso rispetto verso tutte le fedi e che non convince affatto, in questo caso serve a ricoprire quello che nei fatti, è un atto di grave censura tout-court e che, come precedente davvero preoccupa.
Tant’è che il vespaio di polemiche che fortunatamente questa decisione ha sollevato, tra gli studenti, ha portato ultimamente, l’Università di Torino a fare marcia indietro e adesso, grazie a Dio (è proprio il caso di dirlo!) nella bozza del regolamento quel passaggio non compare più.