Mercoledì 27 aprile torna il ddl Zan. A darne apertamente notizia è stato lo stesso Alessandro Zan, dialogando con il quotidiano Repubblica. Il testo verrà ripresentato in una data significativa – il 27 aprile saranno infatti sei mesi esatti dopo la sua clamorosa bocciatura, avvenuta in Senato ad ottobre – e, soprattutto, verrà ripresentato nella stessa identica veste. Una mossa che il deputato del Pd ha motivato con un curioso riferimento alla guerra in Ucraina.
«Siamo nel pieno di una guerra in Europa, dunque la questione dei diritti è urgente e centrale», sono infatti state le sue parole. Per esser precisi, il deputato Pd vede nella ripresentazione della sua norma uno schiaffo nientemeno che a Vladimir Putin e al patriarca di Mosca. «Kirill, molto vicino a Putin», ha sottolineato l’onorevole, «per giustificare la guerra all’Ucraina ha usato l’argomento della crociata contro l’Occidente e la comunità Lgbt+».
Secondo Zan, approvare la legge contro l’omobitransfobia sarebbe dunque un modo per marcare una distanza con Mosca e una vicinanza con Kiev. C’è però solo un piccolo problema: l’Ucraina non è esattamente un Paese gay-friendly. Non a caso, secondo l’Ilga - associazione internazionale che riunisce oltre 400 sigle gay di tutto il pianeta - su un totale di 49 Paesi europei l’Ucraina è ferma al 39° posto, ossia saldamente nel fondo della classifica.
Non solo, da Kiev, secondo quanto riferiva il quotidiano britannico Guardian giusto un mese fa, sono partite direttive precise che impediscono ai maschi che «si sentono donna» di lasciare il Paese, richiamandoli alla legge marziale che vuole gli uomini in trincea a combattere. Insomma, la spiegazione geopolitica di Zan per rilanciare la sua legge non regge. Senza dimenticare altri due aspetti di rilievo: al termine della legislatura manca meno di un anno, 11 mesi per l’esattezza. Siamo dunque agli sgoccioli e il tempo appare assai risicato.
C’è di più: la maggioranza di governo e gli stessi equilibri parlamentare sono i medesimi di questo autunno. Come si può dunque sperare che un testo affossato in Senato possa, come per miracolo, essere approvato – per giunta tale e quale – proprio a Palazzo Madama? In più dobbiamo considerare che ancora una volta la dialettica dell’emergenza nazionale è stata saldamente smentita dai dati Oscad, che non è certamente anti-Lgbt, pubblicati poco più di un mese fa. Su un totale di 361 casi di discriminazioni segnalate alla Polizia di Stato, infatti, quelli inquadrati come reati d’odio basati su orientamento sessuale o identità di genere nel 2021 sono state 77. Dunque alla base della mossa di Zan deve esserci altro. Cosa? E’ presto detto: un chiaro e palese interesse ideologico.
Del resto, non è un mistero per nessuno che certi ambienti - che Zan bazzica o conosce benissimo - non abbiano mai digerito la rasoiata inferta alla «legge di civiltà» dalla tagliola calata in Senato. Prova ne sia che già nel novembre scorso, a neppure un mese dalla bocciatura della norma, da Fabio Fazio Lady Gaga, abilmente pilotata dalle domande del conduttore, se n’era uscita così: «Volevo dire alla comunità Lgbtq+ qui in Italia che siete i più coraggiosi, siete i più gentili, i più generosi, dovete essere protetti a tutti i costi, come tutti gli esseri umani». Una marea di fake news, da parte della cantante, che abbiamo prontamente smentito.
Parole forti, infatti, manco l’Italia fosse controllata dall’Isis, ma che rendevano bene il concetto: il ddl Zan deve tornare. In quegli stessi giorni novembrini, poi, anche i Måneskin, a Budapest per gli Mtv Ema, avevano rispolverato il tema: «Quest’anno il nostro Paese ha vinto tutto, tranne che nei diritti civili». Insomma, Kirill o meno, già c’era un bel malcontento per l’affondamento della legge contro l’omobitransfobia. Ed ora perfino la guerra torna utile al tentativo di riesumare la cara defunta. Con tanti saluti alle vere priorità italiane, che sono la crisi energetica, i rincari salatissimi – che già stanno mandando al tappeto aziende e famiglie - e naturalmente l’inverno demografico, l’eterno dimenticato delle agente politiche.