All’inizio della settimana è stata depositata in Cassazione, a Roma, un’ordinanza del tutto particolare. Riguarda una donna trans, che ora appare e si atteggia da maschio, di oltre trent’anni che aveva fatto ricorso contro i giudici della Corte di Appello affinché le fosse garantito un assegno di mantenimento da parte dei genitori per un periodo più lungo rispetto a quanto sentenziato.
I giudici di piazza Cavour hanno rigettato questa istanza, decretando che la giovane dovrà cominciare – seppure a partire da tre anni dalla fine dell’iter di “cambio di sesso” (ci pieghiamo alla neolingua solo per dare evidenza dell’assurdità della cosa, essendo il sesso di nascita un dato biologico immutabile) – a provvedere a se stessa. Questo in quanto – come specifica Il Giornale – «la considerevole distanza temporale dalla conclusione di questo processo sottrae, in difetto di prove contrarie, il richiedente alla pregressa situazione di difficoltà». Certo, perché una decisione precedente a questa aveva portato a una conclusione opposta, riconoscendo alla ragazza il diritto a «ricevere – scrive ancora Il Giornale – un assegno (incrementato in primo grado, ndr) di 400 euro dal padre fino all’agosto 2016», in quanto era stato riconosciuta «una situazione di vulnerabilità e di difficoltà psicologica e relazionale legata al difficile processo di adeguamento della propria identità di genere, con evidenti conseguenze sull’inserimento sociale e nel mondo del lavoro e quindi nella acquisizione di una posizione di indipendenza economica». Sintetizzando: ancora per qualche tempo la giovane può approfittare di papà, ma tra poco la “pacchia” avrà termine.
Colpisce il ragionamento, di stampo marcatamente pilatesco, fatto in passato dei giudici: diamo al popolo (in questo caso, alle lobby LGBT) quanto desidera, seppur questo leda il diritto dei genitori della ragazza a non avere più figli a carico a partire dalla loro maggiore età e senza dare alcun peso al valore (dis)educativo della decisione. La storia, con un Protagonista d’eccezione, ci ha insegnato come questa politica di gestione della giustizia non si sia rivelata corretta, ma noi – miopi – continuiamo imperterriti a ripetere gli stessi errori... salvo poi, forse, ritrovarsi a fare da Cirenei lungo il calvario che questa giovane si troverà a vivere quando si renderà conto che aver “cambiato sesso” non le ha dato la felicità, ma le ha solo portato una croce ancora più pesante da portare. E, quando questo avverrà, speriamo che non sia troppo tardi e che, arrivati sulla sommità del monte, si apra per la ragazza e la sua famiglia la porta della speranza.
Teresa Moro
Fonte: Il Giornale
per un’informazione veritiera sulle conseguenze fisiche e psichiche dell’ aborto