La comunità LGBT non è proprio una “comunità”, con un cuor solo e un’anima sola: c’è una certa intolleranza nei confronti dei transgender... diremmo una certa transfobia (ohibò!).
Accennammo già qui, parlando della “Omofobia di gay e trans e transfobia di una LGB (senza T), che tra le L (lesbiche) e i GB (Gay e Bisessuali) e i T (Transgender) non corre tanto buon sangue. Riprende il discorso in questi giorni il bioeticista Michael Cook.
C’è chi sostiene che entro il 2020, l’acronimo LGBT sarà scomparso: le sigle si spezzetteranno, l’alleanza tra omosessuali e transegender (o transessuali) si sta incrinando (e anche tra omosessuali maschi e femmine non corre proprio buon sangue, NdT).
L’ultimo episodio sintomo del dissidio LGB contro T ha avuto luogo nello stato americano del Maine, nel liceo di Kennebunk: una scuola “moderna” che celebra la “settimana della diversità” esponendo una bandiera arcobaleno: ebbene è stata tolta su richiesta degli studenti transgender.
Qualcosa di simile è accaduto lo scorso anno presso la University of British Columbia. Un transessuale ha bruciato la bandiera del gay pride: a quanto pare molti transgender non amano essere “protetti e tutelati” dalla comunità LGBT: «Le persone transessuali sono emarginate all’interno della comunità LGBT», ha detto il presidente della Trans Alliance Society di Vancouver.
Un paio di anni fa, un attivista gay ha scritto su USA Today un articolo in cui sostiene che le istanze e le rivendicazioni degli omosessuali e dei transessuali sono diverse e dovrebbero andare su strade diverse e separate: « La comunità gay ha bisogno di chiedere il divorzio dalla comunità trans. Non abbiamo gli stessi obiettivi ... I transessuali lottano contro la biologia e cercano di cambiare quello che sono fisicamente, i gay o le lesbiche cercando di essere se stessi. Non sono alla ricerca di trattamenti di chirurgia o ormonali. Amano le persone del loro proprio genere; non vogliono essere un genere diverso».
E l’ostilità di alcuni gay e lesbiche verso il movimento dei transgender non è nulla rispetto alla furia di alcune femministe, come Germaine Greer, un’icona del femminismo australiano: «Solo perché nascondono il pene e si vestono da donne pretendono di essere donne. Se chiedo al chirurgo plastico di farmi le orecchie lunghe e indosso un cappotto marrone, non mi trasformo in un un cocker spaniel». Gli uomini che si fanno la plastica per sembrare donne cercano di apparire proprio come quelle donne oggetto, quelle “Barbie”, che le femministe radicali aborriscono. Si sono indignate quando Caitlyn (Bruce) Jenner ha detto in TV: «La parte più difficile di essere una donna è capire cosa indossare»: le donne non sono così superficiali e cretine, ovviamente.
Anche Jenni Murray, nota presentatrice della BBC, è stata accusata di transfobia (e licenziata) per aver dichiarato che i cambiamenti di sesso non possono trasformare gli uomini in “donne vere”.
Janice Raymond , autrice di una serie di ben noti libri femministi, sostiene che il movimento transgender minaccia il femminismo: gli uomini che pretendono di esser donne sono visti come colonizzatori e despoti maschilisti, e conclude che non si deve cambiare il corpo per cambiare genere, ma bisogna radicalmente cancellare ogni genere.
Il 49,6 per cento della popolazione mondiale è composto da donne, e solo il 0,3 per cento (forse) sono i transgender. L’ 8 marzo, il New York Times ha dato più spazio alla storia di un trasgender che alle rivendicazioni delle donne... questo le femministe proprio non lo possono mandare giù...
Michael Cook
Traduzione con adattamenti della Redazione
Fonte: Mercatornet
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