Un paio di settimane fa diversi mezzi d’informazione hanno dato notizia del primo trapianto “da cadavere” o, secondo altre fonti, di “cuore non battente” in Europa, effettuato in Inghilterra, al Papworth Hospital del Cambridgeshire.
La notizia è di quelle che dovrebbero attirare l’attenzione in particolare dei bioeticisti. Il dibattito intorno alla possibilità morale di effettuare trapianti di organi vitali non si è mai spento, a causa principalmente di un problema rilevante: espiantare un organo vitale ancora vivente non significa forse uccidere il “donatore”? Il criterio di morte cerebrale che permette di dichiarare la morte di una persona, nonostante altri organi siano ancora in vita, è valido criterio di accertamento della morte? Forti argomenti militano contro il criterio neurologico. Ricordiamo in ogni caso che, dal punto di vista morale, per espiantare un organo vitale, bisogna avere la certezza morale che il soggetto “donatore” sia veramente morto.
In questo contesto è chiaro che la possibilità di operare trapianti a cuore “non battente” solleva alcuni interrogativi: potremmo con questa tecnica ritenere superate le obiezioni di chi non ritiene affidabile il criterio neurologico? Il corpo da cui si prelevasse il “cuore non battente”, sarebbe, in questo caso, certamente un cadavere?
Vi invitiamo a leggere le considerazioni del dott. Luca Poli, deciso oppositore del criterio di morte encefalica, che esprime pesanti perplessità anche sul caso in oggetto.
In primo luogo, mi sia concessa un’osservazione preliminare: l’osservazione concerne i titoli con cui pressoché tutti gli organi di informazione italiani (destra, sinistra e centro), una voce clamantes, sparano la notizia: “Primo trapianto di cuore da CADAVERE [grassetto mio; ndA] in Europa” (i primi in assoluto furono fatti in Australia nell’ottobre 2014). Così tutti i più diffusi quotidiani nazionali e locali che ho potuto rintracciare: Corriere, Repubblica, La Stampa, Il Fatto Quotidiano, Libero, tgcom24, ecc..
Intanto viene da dire che se questo fosse davvero – come scrivono – il primo “trapianto da cadavere”, allora saremmo di fronte all’universale riconoscimento di ciò che molti studiosi (quorum ego, humiliter dico) hanno sempre sostenuto, cioè che tutti gli altri trapianti non sono da cadavere, e che trattasi perciò di omicidi. Ma non è certo questa l’intenzione, tutt’altro (non è difficile intuire quale essa invece sia)! E già questa ipocrisia conclamata impone più di un legittimo sospetto ….
Unica parziale eccezione da me trovata è quella di “Avvenire”, appena più prudente, almeno nel titolo in cui parla di “cuore senza battiti”, ma non nel testo, dove già al primo capoverso compare l’espressione “cadavere” (i due termini, come subito dirò, non hanno affatto la stessa portata semantica). Con ciò il quotidiano della CEI dà l’impressione di voler tenere “i piedi in due staffe”, seguendo nella titolazione la stampa estera, e nell’incipit del testo quella italiota (scelta utile ad aumentare la confusione sul tema).
Ed in effetti i mezzi di comunicazione stranieri, tra cui anche adnkronos e ansa.it, per quanto mi risulta da una prima veloce ricerca, non usano mai la parola “cadavere”, ma espressioni diverse. Gli anglofoni (USA ed UK): First “dead” heart transplant, First “dead heart” transplant; francofoni: Première transplantation d’un coeur en arret; tedeschi: Erfolgreiche “non-beating” Herztransplantation, ecc. Adnkronos: Organo non battente; ansa.it: Primo trapianto di “cuore spento” in Europa, e così via.
Veniamo ora al cuore del problema.
È della massima importanza ribadire che nessuna delle suddette espressioni implica necessariamente la morte clinica (la morte tout court) del legittimo possessore di quel cuore. Prima dell’era trapiantistica aperta da Barnard nel dicembre 1967 (e ancor oggi nei casi estranei all’eventualità di trapianto) la morte è un evento che si può solo constatare a posteriori e consiste nella cessazione irreversibile di tutte le seguenti funzioni: cerebrale, cardiaca e respiratoria (1). È solo dalla rivoluzione del 1968 (!) che sono state inventate, per motivazioni dichiaratamente utilitaristiche, altre eversive definizioni di morte (2).
Qui aggiungo solo che ancor oggi, quando non sia in questione un eventuale trapianto, il Regolamento di Polizia Mortuaria tuttora vigente impone una doppia constatazione di morte fatta da due medici diversi, la seconda delle quali non può avvenire prima che siano trascorse almeno 15 ore (fra le 15 e le 30 ore, per la precisione) dall’ora indicata nel certificato di prima constatazione (che io mi trovo abitualmente a redigere nel mio lavoro quotidiano).
Tralasciando qui la più celebre “morte cerebrale” va ricordato che è stata codificata, nei medesimi ambienti e con le stesse finalità, la c.d. “morte cardiaca”.
Per quanto riguarda l’Italia, la cosa avvenne in due tempi. Dapprima venne emanata la LEGGE 29 DICEMBRE 1993 N. 578 (NORME PER L’ACCERTAMENTO E LA CERTIFICAZIONE DI MORTE), che recita così: Art. 1. Definizione di morte. “La morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”; Art. 2. Accertamento di morte. §1 “La morte per arresto cardiaco si intende avvenuta quando la respirazione e la circolazione sono cessate per un intervallo di tempo tale da comportare la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo (…)”. Il §2 stabilisce che in entrambi i casi “la cessazione (…) è accertata con le modalità clinico-strumentali definite con decreto emanato dal Ministro della Sanità” (3).
Il primo di questi Decreti Ministeriali, il Decreto Costa 582/94, stabilisce che la “morte cardiaca” si intende accertata col rilievo di un ECG (elettrocardiogramma) piatto per 20’. Dato smentito dalla letteratura medica e dalla casistica: mi limito qui a segnalare il caso del 45enne francese colpito da IMA (Infarto Miocardico Acuto) in strada a Parigi all’inizio del 2008. Portato all’Ospedale di Pitiè Salpetriere e sottoposto fin dall’inizio a manovre respiratorie (anche nel “morto cerebrale” – ma non è questo il caso – la ventilazione è assistita!), il suo cuore permaneva in asistolia, e non era possibile l’intervento di dilatazione coronarica. Dopo un’ora e mezza di arresto cardiaco, l’uomo era diventato un potenziale donatore d’organi, benché non cerebralmente morto: verdetto smentito appena in tempo poiché quando i chirurghi stavano per procedere all’espianto, l’uomo cominciò a respirare spontaneamente e a dare segni di reazione agli stimoli dolorosi. Dopo numerose settimane il paziente riuscì a camminare e parlare” (caso riferito dal quotidiano parigino “Le Monde” ripreso dal “Corriere della Sera” 10.06.2008).
Stabilito quanto sopra, rimane da valutare l’esatta procedura seguita dai chirurghi inglesi nel caso di specie, cosa allo stato dei fatti non facilmente ricostruibile ad un primo sommario esame di quanto divulgato dagli organi di informazione, stante la quasi totale reticenza e le non poche contraddizioni sul punto. Bisognerà probabilmente attendere la pubblicazione del caso su riviste specializzate (ed in genere riservate agli “addetti ai lavori” e non certo rivolte al grande pubblico), per avere dati (speriamo) attendibili e completi.
Per ora l’unica cosa che par di capire è che il cuore del c.d. “donatore” (volens, nolens) si sia trovato ad un certo punto in stato di arresto e che in un secondo momento sia stato “riattivato”: ma per quanto tempo lo sia stato, se l’arresto si sia prodotto ancora nel torace da cui è stato prelevato, e soprattutto se sia stato spontaneo o provocato dai medici, che lo avrebbero poi riattivato dopo il prelievo e quindi in ambiente extracorporeo prima del trapianto (ma allora perché non riattivarlo nella sua primitiva sede?), sono tutte domande per ora senza risposta, e francamente non riesco ad immaginare alcun tipo di risposta in grado di far dileguare il “fumus” di omicidio premeditato e pluriaggravato.
Tanto più che sul sito dell’Huffington Post USA trovo questa ammissione, riguardante il primo triplice trapianto di questo genere (avvenuto a Sydney nell’ottobre 2014) che la dice, mi pare, chiara:
“The donor hearts used in three separate procedures at St. Vincent’s Hospital in Sydney weren’t actually dead [grassetto e sottolineatura dell’autore]. But they had stopped beating for about 20 minutes before being resuscitated and transplanted into the patients, The Sydney Morning Herald reported.”
Dott. Luca Poli
Visto l’interesse suscitato da questo articolo (basta leggere i commenti in calce), si veda anche la risposta al dottor Poli della bioeticista Giorgia Brambilla cliccando qui
Note:
- Si vedano le definizioni di morte dei più prestigiosi Dizionari Medici citate dal sottoscritto nell’intervista Il paziente è “clinicamente” morto? alla rivista Notizie ProVita, n.28 – Marzo 2015, “Il Fine Vita”.
- Si veda sempre l’intervista Il paziente è “clinicamente” morto? su Notizie ProVita, n.28 – Marzo 2015, “Il Fine Vita”.
- SI MUORE PER DECRETO, e per dirla con Hobbes, AUCTORITAS NON VERITAS FACIT LEGEM. Tale formulazione demanda infatti al solo Ministro della Sanità, escludendo definitivamente qualsiasi passaggio parlamentare, ogni ridefinizione e rimaneggiamento a piacere dei criteri per l’accertamento della “morte cerebrale” e poi, come vedremo subito, anche della “morte cardiaca”, diagnosi che equivalgono ad una sentenza capitale inappellabile.