Ora tocca alla Cassazione: dopo mesi in cui, da una parte, diversi Comuni italiani, anche importanti, hanno deciso di procedere autonomamente consentendo le trascrizioni in favore dell’omogenitorialità (riconoscendo figli di “due padri” o “due madri”), e dall’altra, alcuni giudici si sono mossi in senso diametralmente opposto, come ha fatto con uno specifico ricorso la Procura di Roma, ora la palla passa agli ermellini, il cui pronunciamento a Sezioni Unite è atteso, appunto, in autunno e più precisamente nel prossimo mese di novembre. Da un punto di vista formale, il giudizio di legittimità sarà emanato su una specifica trascrizione: quella avvenuta a Trento in favore di una coppia di uomini che aveva fatto ricorso all’utero in affitto in Canada, mentre giuridicamente il nocciolo della questione sta in un passaggio ben preciso.
Ci si riferisce, qui, all’interpretazione del concetto di “ordine pubblico”, che se sarà più restrittiva non potrà che escludere la legittimità delle trascrizioni arcobaleno in quanto avverse e destabilizzanti lo stesso; mentre se invece detta interpretazione dovesse risultare più ampia – sposando in tal modo un orientamento giurisprudenziale di respiro maggiormente comunitario e internazionale – si andrebbe a regalare una importante vittoria al fronte Lgbt. Sì, perché su questa delicata e determinante questione non si gioca solamente una partita giuridica o giurisprudenziale per quanto importante, ma una anzitutto politica e, ancor prima, antropologica.
Se infatti passa definitivamente l’idea che un atto ufficiale possa riconoscere la famiglia arcobaleno formatasi fra l’altro in seguito a surrogazione di maternità, è di tutta evidenza come lo scardinamento del matrimonio, iniziato decenni or sono col divorzio e culminato in questi anni con l’approvazione delle unioni civili, farebbe un ulteriore e drammatico passo in avanti; così come è evidente che a risentirne sarebbe il diritto, anch’esso messo in discussione, dei bambini ad avere un padre ed una madre; per non parlare di un indiretto ma comunque significativo riconoscimento della pratica dell’utero in affitto. Da questo pronunciamento della Cassazione dipende insomma molto. Davvero molto.
C’è quindi da augurarsi che la saggezza della magistratura abbia la meglio rispetto a quelle “spinte creative” che da anni, anzi decenni, come noto, contagiano il mondo forense e le aule di giustizia. Staremo a vedere. Quel che è importante, unitamente all’auspicio che lo snodo possa risolversi nel modo migliore, è ricordarsi che la posta in gioco – in primo luogo antropologica, come si ricordava poc’anzi – ha le sue radici in ambito pre-politico e pre-giuridico. Ragion per cui, anche se ribadire il fatto che una famiglia sia per forza quella composta da un uomo e una donna, e da un padre e una padre, è un esercizio che a farlo, ricordava il cardinale Caffarra, fa venire «da piangere», occorre non desistere per nessuna ragione.
Ne va infatti non di un aspetto antropologico come un altro, bensì di un pilastro vero e proprio della nostra civiltà. Non la religione né tanto meno una certa cultura conservatrice, bensì l’antropologia, la sociologia e la demografia confermano infatti che, nel momento in cui la “cellula fondamentale della società” entra in crisi, a subire un colpo mortale è l’intera società. Per questo da una parte c’è davvero da augurarsi che il pronunciamento della Cassazione su un aspetto solo apparentemente formalistico, com’è quello delle trascrizioni anagrafiche per i figli di “due padri” e “due madri”, sia saggio e controcorrente rispetto a un certo trend culturale, e, dall’altra, va comunque chiarito che la battaglia del mondo pro-family, già in corso da anni, deve procedere a prescindere.
Giuliano Guzzo