13/06/2015

Un padre di famiglia ci induce definitivamente a scendere in piazza

Su Il Foglio di ieri le “Confessioni di un padre cattolico nell’èra dell’individuo che gioca a fare Dio”: è un padre di famiglia, come tanti di coloro che in questo momento stanno leggendo.

Ci parla con il cuore e la ragione. Ci convince definitivamente a scendere in piazza il 20 giugno. Per la famiglia, per i bambini.

La notizia è che il Parlamento Europeo di Strasburgo spinge a larga maggioranza in direzione delle cosiddette nozze gay. Trombe e fanfare. Si tratta di un Parlamento i cui poteri sono piuttosto nebulosi, come quasi tutto ciò che proviene dall’Europa, ma è giusto che Repubblica e Vendola festeggino. Che la notizia venga amplificata e sbandierata.

Come è successo pochi giorni fa, quando l’Irlanda, avendo approvato con referendum il matrimonio gay, è divenuta la capitale morale del pianeta. Da patria dei preti pedofili e omosessuali, a “luce del mondo”. Negli stessi giorni in cui l’isola di san Patrizio votava per i matrimoni gay, la Polonia si esprimeva eleggendo un presidente che la pensa totalmente all’opposto, essendo contrario sia alla filiazione artificiale, sia a qualsiasi revisione del concetto di famiglia. Polonia, buio del mondo. Meglio: Polonia inghiottita nel buio dei media, che sanno trasformare il topolino Irlanda (5 milioni di abitanti) in gigante, e la grande Polonia, leader dei paesi Ue dell’est, con 40 milioni di abitanti, in topolino.

Luce, si diceva, che porta Salvezza, Redenzione, Felicità, Eguaglianza. Smarrito il senso del trascendente, occorre sacralizzare ogni realtà di questo mondo: dopo lo Stato, la Nazione, la Classe, la Razza, tutti idoli che hanno già mostrato il loro volto terribile, è il tempo dell’Individuo. Dei suoi desideri, delle sue brame, delle sue personali convinzioni. Non importa che abbiano un fondamento: non dico metafisico, ma neppure storico, naturale, comunitario, scientifico. La luce, ci dicono oggi, viene dunque da qui: dalla possibilità per due uomini di “ordinare” un figlio (non senza donna, però, che neppure in Irlanda ci riescono, ma usando ben due povere donne – la venditrice di ovuli e la affittante utero – che però non saranno mai mamme); dalla possibilità, per due lesbiche, di produrre un bambino, grazie a un anonimo conosciuto e vagliato solo per un attimo, attraverso il catalogo dei venditori di sperma congelato.

Del resto, tutto ciò che si vuole, oggi, si reclama e poi si compera. E ne guadagnano sia i “diritti” (di chi?) sia il business. Uguaglianza e libertà, si urla. E lo si fa con la convinzione di chi sta conducendo una guerra santa contro il male, la discriminazione, l’ignoranza (in particolare della chiesa cattolica, colpevole primaria non del meccanismo della riproduzione, ché esso la precede di svariati millenni, ma del misfatto di voler rivendicare ancora, con non poche eccezioni, a quel “meccanismo”, una dignità e un senso).

Non basta defilarsi per non essere sconfitti. Ma è uguaglianza dare a tutti lo stesso? Oppure uguaglianza è dare a ciascuno ciò che è suo, ciò che gli spetta? Suum cuique tribuere, dicevano i latini. Libertà? Di chi? Non del bambino, che viene privato ab origine di una mamma o di un papà; e neppure delle donne che oggi possono urlare ancora, come negli anni Settanta, “l’utero è mio e lo gestisco io”, ma lo fanno solo se la fame e la disperazione (congiunte con l’egoismo di chi le ritiene un contenitore-vivente) le costringe a vendere nove mesi della propria vita, delle proprie emozioni, della propria persona.

Non percepisco venti di uguaglianza né di libertà, dall’Irlanda. Sono tanto arretrato perché cattolico? Forse sì. Mi spaventa e mi sembra ridicolo giocare a essere Dio. Ma essere cattolico, mi accorgo in questi giorni, non è sufficiente. Monsignor Nunzio Galantino, segretario della Cei, sta cercando in ogni modo di boicottare una manifestazione pubblica, del tutto apartitica, contro gender, matrimonio gay e ddl Cirinnà, convocata a Roma per il 20 giugno da un gruppo di laici, non solo cattolici, ma anche evangelici e persino islamici. Galantino non la vuole. E se proprio ha da essere, occorre almeno sterilizzarla, depotenziarla.

Una manifestazione di tal genere deve essere pericolosa, agli occhi del segretario Cei, per almeno tre motivi: è convocata da laici, senza permesso o sostegno dei vescovi (del suo, in particolare); è contro un ddl appoggiato dal governo di Matteo Renzi, che, ne deduco, non va affatto disturbato; è approvata (idealmente) dal presidente della Cei Angelo Bagnasco, che si permette di avere una sua posizione, senza il permesso del suo segretario.

Ma se essere cattolico oggi non basta più, né ai cardinali Kasper e Marx, né al vescovo Galantino, né alla “cattolica” Boschi e al “cattolico” Renzi, forse basterà essere figlio, e padre.

Nessuno dei personaggi sin qui citati, infatti, saprebbero convincermi: né che mio padre o mia madre siano stati in fondo inutili, ché avrei potuto sostituire la mamma con un secondo padre, e il babbo con un’altra donna; né che io o mia moglie siamo del tutto superflui, accidentali, per i nostri figli. Anche tenessi in poco conto l’anatomia, la psicologia, la genetica, le neuroscienze, cioè tutto ciò che ci ricorda la bellezza della complementarietà uomo-donna, non potrei annullare l’esperienza: constato ogni giorno di poter dare ai miei figli qualcosa che mia moglie non ha; e che lei, a sua volta, è parimenti necessaria, con la sua sensibilità femminile, che io non possiedo, alla crescita dei nostri figli.

Ci sono però, al di fuori del mio orticello, anche le testimonianze di innumerevoli figli delle sperimentazioni odierne, a confortarmi. I figli della fecondazione artificiale eterologa cosa fanno, in tutto il mondo, oggi? Cercano la venditrice dell’ovulo da cui sono nati, e la chiamano “mamma”; si mettono in cerca del venditore dello sperma da cui sono nati, e lo chiamano “papà”. Sul Corriere della Sera, il 23 novembre del 2010, si leggeva: “Fecondazione, i figli della provetta alla ricerca del padre misterioso”. Nell’articolo la storia di Olivia Pratten, la ragazza canadese trentenne che da dieci anni cerca suo padre, il “donatore”numero 128. Oppure brani di questo tenore:

” ... Figli della provetta che attraverso blog o community dedicate cercano non solo di risalire al padre biologico, ma anche di ritrovare fratellastri e sorellastre con cui condividere storie e sentimenti”. E i figli del divorzio? Penano e soffrono perché mamma e papà non stanno più insieme. I ragazzi cresciuti senza padre? Le ricerche americane dimostrano che costituiscono il grosso dei violenti, dei drogati, degli stupratori presenti nelle carceri Usa. E’ mancato loro l’apporto, fondamentale, dell’uomo: del padre che dà la regola, che ferisce il narcisismo egoista, che incanala le pulsioni violente, che infonde sicurezza ed autostima.

Questi sono i fatti. Si potrebbero citare anche i filosofi, o i poeti, ma sono cose vecchie. Persino il dolcissimo nome “mamma” sembra non significare più nulla nell’epoca in cui le mamme hanno il volto poco attraente e un po’ gommoso di Elton John. Nell’epoca in cui i giornali dei paesi “all’avanguardia” iniziano a pubblicare annunci del genere: “Offresi mamma per allattare figli di coppie gay. Prezzi modici”.

C’è molta fretta e si corre verso il radioso futuro in cui i figli nasceranno così, come e quando li vogliono gli adulti, cioè i più forti. Intanto la fiumana del progresso, come direbbe Giovanni Verga, travolge i più deboli.

Come Claire Breton e Oscar Lopez. La prima, francese, figlia di due lesbiche, è autrice di una delle prime autobiografie del genere, “Ho due mamme” (2006), nella quale afferma: “Mi sento diversa. Sono consapevole che le mie scelte di adulta sono opposte a quelle che ho vissuto nell’infanzia. Ho sofferto per alcune privazioni, ma adesso tento di rifarmi. Per il mio futuro desidero un’esistenza normale, non lo nego. Voglio creare la famiglia che mi è mancata”. Il secondo, Oscar Lopez, professore universitario del Minnesota, bisessuale, figlio di due lesbiche, cresciuto per quarant’anni nel mondo Lgbt, si batte ogni giorno perché ciò che è accaduto a lui non accada a nessun altro. Trovo “inquietante e classista – afferma – la posizione dei gay che pensano di poter amare senza riserve i loro figli dopo aver trattato la madre surrogata come un incubatore, o delle lesbiche che credono di amare i propri figli incondizionatamente dopo aver trattato il loro padre-donatore di sperma come un tubetto di dentifricio” (Tempi, 7 giugno 2013).

La storia di Lopez e di innumerevoli altri non commuove nessuno. Né chi accampa diritti, né chi, come il cardinal Kasper o il cardinal Marx, nell’ansia di apparire moderno e di ricevere applausi (l’esatto contrario dei profeti biblici) mette ai voti il disegno di Dio e la sua Parola; né chi, come il cattolico Matteo Renzi, ha altro cui pensare.

Questo giornale ha proposto un referendum. Lo firmerei subito: si discuta, si parli, si combatta. Si accenda ancora qualche cuore e qualche mente, intorno al tema del nascere e della famiglia. Ma il cattolico Renzi, ne sono certo, non vuole. Lui manovra, usando Berlusconi ieri, qualche cattolico sulla scuola paritaria, oggi. Stringe patti e li disfa. Celebra matrimoni che durano un istante, senza preoccuparsi molto di chi sia il coniuge. Viene da Firenze, la patria di Machiavelli. L’autore del “Principe” può essere felice: ha trovato il suo uomo. Che ora – non importa quale sia il suo pensiero sul tema – deve dare un contentino all’ala sinistra del suo partito: fa parte della tecnica del bastone e della carota, del suo essere metà “golpe” e metà “lione”. Si farà. Ha dato ai bersaniani troppe delusioni, e anche loro devono alzare qualche trofeo (in campo morale, l’ultimo ormai in cui la sinistra esiste e parla). Ma Renzi cercherà che tutto avvenga nel modo più indolore possibile, smussando le parole, i concetti, il dibattito. Sussurrando: “Vi do le unioni civili, e in qualche mese la magistratura li trasformerà in matrimoni, con annessa possibilità di produrre i figli desiderati”.

Francesco Agnoli

 

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