La storia è drammatica, fa pensare molto l’abbandono nel quale un’anziana signora spagnola si è trovata a vivere per tutta una vita.
Elisabetta Rosaspina, sul Corriere della Sera, riporta la storia di María Luisa Martínez Barranco, 85 anni, che tre anni fa uccise il figlio Tomás, di 64 anni. «Non era in grado di alzarsi, lavarsi da solo, cucinare, badare a se stesso. Era sordomuto dalla nascita e cieco da alcuni anni, invalido nei movimenti, dipendente in tutto da sua madre». La donna, sentendo che le forze la stavano abbandonando, ha preparato un mix di pillole per sé e per il figlio: il cocktail letale ha funzionato per Tomás, ma la madre era rimasta in vita ed era stata arrestata.
Il pubblico ministero aveva chiesto per María Luisa sei anni di carcere e altri sei di ospedale psichiatrico, poi hanno deciso di lasciarla in libertà. Potrà tornare a casa, seguita da psichiatri.
La vicenda è dolorosa, l’avevamo premesso, ma non deve essere utilizzata da quanti sostengono il diritto all’eutanasia. Quella donna ha ucciso il figlio, non va assunta ad esempio in una disumana campagna pro morte. La sofferenza di una madre, di tante famiglie costrette a occuparsi da sole di figli disabili o con gravi patologie, deve rendere più forte, più sostenuta la richiesta di interventi, di aiuti da parte dello Stato. Solo in questo modo si può lottare per il diritto alla vita, senza ipocrisie.
Sicuramente María Luisa Martínez Barranco, che ha vissuto un’esistenza di tanto lavoro, fatiche e privazioni, non avrebbe mai voluto uccidere quel figlio amato e difeso per anni se non si fosse sentita abbandonata e non avesse percepito che la sua vita e le sue forze stavano venendo meno.
Patrizia Floder Reitter
per un’informazione veritiera sulle conseguenze fisiche e psichiche dell’ aborto