Il Congresso Mondiale delle Famiglie non va assolutamente giù agli accademici veronesi, che lo reputano antiscientifico. Sulla stessa linea il rettore, che ha vietato l’uso dell’ateneo per fini congressuali. Sono circa 160 i docenti e ricercatori dell’Università di Verona, firmatari di una “fatwa” contro il Congresso (a quanto pare, 1 su 3, laddove circa 2 professori su 3 si sono rifiutati di firmare). Per iniziativa del Consiglio del Dipartimento di Scienze Umane è stato diffuso un documento che definisce la manifestazione del 29-31 marzo come l’«espressione di un gruppo organizzato di soggetti che propongono convinzioni etiche e religiose come fossero dati scientifici».
Nello specifico, viene contestata la scientificità delle posizioni dei congressisti sui temi dell’aborto, del divorzio e dell’omosessualità, quando in realtà, sostengono i docenti firmatari, «la ricerca internazionale non è mai giunta a questi esiti e li ha invece smentiti in diverse circostanze». Nella sostanza, gli accademici veronesi si fregiano di essere «persone diverse per età, genere, origine, convinzioni politiche, fede religiosa, unite dal lavorare nella stessa istituzione, l’università pubblica, una delle espressioni più autorevoli del sapere scientifico», contrapposte ai relatori del Congresso che, a loro dire, esporranno pure idee e convinzioni personali.
Tra le critiche avanzate dai professori dell’Università di Verona: il creazionismo sostenuto da molti congressisti; il lavoro femminile non domestico, visto come causa del calo demografico; l’aborto inteso come omicidio, in quanto questa pratica è permessa dalla legge italiana, anche a tutela della salute delle donne; l’omofobia, ovvero la contrarietà all’ideologia del gender, in tutte le sue declinazioni, rispetto alla quale gli «ordini professionali», le «associazioni accademiche» e i «comitati etici di riviste scientifiche» avrebbero da tempo preso le distanze.
Nella censura da parte dell’Università di Verona, non è mancata una motivazione “geopolitica”. I firmatari mettono in rilievo, infatti, la presenza di esponenti politici provenienti dalla Russia, dall’Ungheria e da altri paesi dell’Est europeo, che promuoverebbero «politiche censorie rispetto al dibattito pubblico su questi temi e restrittive della libertà di ricerca e insegnamento universitari».
A conclusione del documento, i sottoscrittori fanno appello al «codice etico dell’università di Verona», il quale, attingendo ai «principi della libertà della ricerca e dell’insegnamento, afferma quelli dell’uguaglianza e della solidarietà, rigettando ogni forma di pregiudizio e discriminazione». Nettissima la presa di posizione a favore dei 160 firmatari da parte del rettore Nicola Sartor, che ha negato al Congresso l’uso dei locali dell’ateneo. «L’università», afferma il rettore in una nota, «promuove da statuto il pluralismo delle idee e respinge violenza, discriminazione e intolleranza».
A infiammare ulteriormente il clima in questa vigilia congressuale, arriva una denuncia degli albergatori che ospiteranno i congressisti: recensioni negative, mail e telefonate minatorie, inviti al boicottaggio. Per tali ragioni è stato presentato un esposto alla polizia, al prefetto e alla polizia postale.
«Abbiamo il dovere di ospitare chiunque prescindendo dal suo orientamento», ha dichiarato a Rai News Giulio Cavara, presidente dell’Associazione Albergatori scaligera. «Oggi c’è il congresso sulla famiglia, domani può esserci un congresso in una direzione opposta dal punto di vista dei contenuti» ma «noi dobbiamo fornire ospitalità prescindendo dalle nostre legittime posizioni personali che però non vanno a inficiare quello che è il nostro lavoro».
Luca Marcolivio