La studentessa Maelle Jacques è la nuova campionessa di salto in alto alla Kearsarge Regional High School in New Hampshire negli Stati Uniti. Qualche giorno fa ha frantumato ogni record saltando due centimetri e mezzo più in alto di tutte le sue competitrici e questo probabilmente le apre scenari di carriera straordinari: campionati, olimpiadi, sponsor e quant’altro. Probabilmente, però. Dipende se negli USA, come in tante altre parti del mondo, si proseguirà a ritenere valida e a imporre la distopia gender. Sì perché Maelle in realtà è un uomo, dunque con la muscolatura e la struttura ossea che ne consegue. In altre parole, è un maschio che dice di identificarsi in una femmina.
La misura che è riuscito a saltare, distruggendo ogni record e facendo mangiare quintali di polvere alle sue competitrici, è semplicemente ridicola se comparata a quella del maschile negli stessi campionati scolastici, pari a 187 cm. È evidente a chiunque conosca un minimo di sport che Maelle, se avesse gareggiato nel settore maschile, avrebbe fatto la figura del brocco. Invece ha ottenuto di umiliare le sue compagne, molte delle quali probabilmente si sono allenate per mesi e mesi. Tra di esse, per quello che ne sappiamo, potrebbe, anzi poteva esserci una vera campionessa. Non lo sapremo mai, perché l’occidente risvegliato ha deciso di eradicare il concetto stesso di competizione e di “record da battere”.
Inevitabilmente - poiché ancora un po’ di sale in zucca a qualcuno è rimasto - la Kearsarge School è finita al centro di diverse polemiche. Ma il suo soprintendente non flette: «la Kearsarge supporta tutti gli studenti e atleti senza tener conto della loro identità di genere. Ogni studente-atleta ha il diritto di competere nell’attività di sua scelta». Notevole, nonché pienamente conforme al postulato di base della dottrina LGBTQ+, l’ammissione che il discrimine non è sul sesso degli studenti-atleti, ma sulla loro identità di genere, laddove il primo, determinato dalla natura, è irrilevante, mentre il secondo, determinato dal sentore soggettivo e dalle sovrastrutture culturali, è il punto centrale. Potrebbe essere che il soprintendente sia fermamente convinto di ciò che dice, oppure che si adegui per paura di perdere il posto, fatto sta che sa dove appigliarsi: «negare opportunità è una violazione della parità dei diritti per come definita dalle leggi federali e statali». Perché quando la distopia è nelle leggi, non mancano gli scudi per i pavidi.
Nonostante tutto questo, c’è ancora una parte di America (e di mondo) che mantiene la testa a posto e ha la forza di affermare che due più due fa quattro e che le foglie sono verdi d’estate. Ad esempio l’ex nuotatrice Riley Gaines, un’attivista contro la partecipazione dei trans negli sport femminili, così ha commentato su X la vicenda della Kearsarge School: «come fanno i parenti di questo ragazzo a permettergli di ingannare ragazze meritevoli fino a privarle delle loro opportunità? E perché i genitori delle ragazze non si alzano e dicono “no” per le loro figlie? Questo paese è pieno di madri e padri falliti e senza coraggio». Gaines coglie nel segno. Perché di fatto la vicenda del signor Maelle Jacques è una delle tante tutte talmente uguali da ingenerare sbadigli e tedio in chi le legge e in chi le riporta. Di per sé non spiegano nulla, sono al massimo la descrizione di un sintomo generato da una patologia molto profonda e con molte cause.
Il commento di Riley Gaines getta una luce su una di esse: dove sono i genitori? Tutti, quelli delle ragazze defraudate della loro opportunità e quelli del giovanotto a cui piace vincere facile. Le une probabilmente divise tra chi, conquistata dalla propaganda, accetta l’invasione di campo e se ne fa una ragione, e chi invece non ci sta, ma tace perché sa quanto rischia. Lui è probabilmente un figlio del suo tempo, di questo tempo, dove la debolezza e la fragilità diventano segni di nobiltà davanti ai quali stendere tappeti rossi e percorsi privilegiati. Alle spalle di tutti stanno genitori cresciuti e formatisi proprio a cavallo del grande furto, il furto della normalità e dell’identità, avvenuto dopo il giro di boa del secolo, dopo un decennio di attenta preparazione.
E per quelle poche madri e quei pochi padri coraggiosi, c’è un intero sistema a vigilare, con la sua psicopolizia che rovina reputazioni, prima online e poi nella realtà, o con le sue leggi che ti tolgono il lavoro o ti sbattono in carcere. Dissolvere le identità ha generato personalità liquefatte sotto ogni aspetto, compreso quello genitoriale, aprendo la porta a un nuovo genere di totalitarismo, quello delle minoranze pulviscolari, che spadroneggiano e prosperano trascinando al proprio infimo livello tutta la realtà su cui predominano. Nel recente passato, come oggi e come nel futuro, l’unica e ultima linea di resistenza è la famiglia. Riley Gaines ne è pienamente cosciente, insieme a pochi altri, e fa bene a sottolinearlo. Probabilmente sa che proprio lì, su quel muro, alla lunga, il totalitarismo odierno finirà per schiantarsi.