La campagna choc organizzata dalle Associazioni promotrici del Family Day, Pro Vita e Generazione Famiglia, per denunciare la pratica dell’utero in affitto, ha trovato anche l’adesione della scrittrice e giornalista Enrica Perucchietti autrice del libro Utero in affitto, la fabbricazione dei bambini, la nuova forma di schiavismo. Oltre a sostenere i manifesti, affissi a Roma, Milano e Torino per ribadire che “due uomini non fanno una madre” e “due donne non fanno un padre”, con tanto di bambino raffigurato dentro un carrello del supermercato, la Perucchietti plaude anche al video pubblicato su Youtube e diventato popolare in poche ore. Il video, intitolato Utero in Affitto, tutta la verità in tre minuti, racconta le conseguenze di carattere medico-scientifico che questa pratica comporta e mette in guardia dal rischio di trattare la questione soltanto dal punto di vista del “sentimentalismo”, ossia del desiderio di avere figli da parte di chi è impossibilitato a procreare, tralasciando invece tutti i disagi, dal punto di vista fisico e psichico, che il ricorso alla maternità surrogata potrebbe comportare per i soggetti implicati.
Cosa pensa del video circolato su Youtube che spiega in 3 minuti la pratica dell’utero in affitto?
«Il video è fatto molto bene, è estremamente chiaro senza essere retorico, ed è molto efficace. Direi che è utile ed essenziale in questo particolare momento, nel quale per legittimare questa pratica classista, riservata soltanto ai ricchi, è in atto una forma sofisticata di indottrinamento mentale e di manipolazione delle coscienze per favorire un ribaltamento delle categorie».
Quanto è importante parlare anche delle conseguenze che l’utero in affitto può provocare, senza limitarsi esclusivamente al sentimentalismo?
«È fondamentale trattare la tematica a 360 gradi. Intanto va ribadito che non esiste a priori un diritto ad avere figli. Sarebbe nostro dovere concentrarci molto di più sui diritti dei bambini invece che sui capricci degli adulti. L’utero in affitto rappresenta una visione distorta, manipolata e capitalistica della maternità e dovrebbe essere vietato a livello internazionale. In primo luogo si configura a tutti gli effetti come una forma sofisticata di schiavismo moderno che porta a equiparare il corpo della donna a un forno. Il bambino invece è messo sullo stesso piano di un qualsiasi oggetto, una merce che può essere venduta e acquistata. La procreazione è così completamente scollegata dall’atto sessuale, diventando un lusso per pochi, visto che pochi possono permettersi il ricorso a questa pratica. Potremmo definirla una forma di eugenetica da supermercato. Nel mio libro ho già ampiamente analizzato il business della surrogata, il traffico degli ovuli, i casi di cronaca più eclatanti e il tentativo di legalizzare questa pratica facendo leva proprio sul sentimentalismo. Ci troviamo di fronte un mercato in costante crescita che, nonostante restrizioni e proibizioni, frutta circa sei miliardi di dollari l’anno a livello internazionale. Dal punto di vista scientifico è interessantissimo specificare che lo sfruttamento delle madri surroganti avviene in modo diverso a seconda dei vari Paesi dove la pratica è ammessa».
Può farci degli esempi?
«Nell’Est Europa e nel cosiddetto Secondo Mondo le madri surroganti non hanno nessun tipo di tutela e rischiano così dei grossi problemi sia durante, sia dopo il parto. L’altro aspetto totalmente ignorato riguarda il traffico degli ovuli femminili, che è diventato negli Stati Uniti una vera e propria fabbrica. Nei campus dei college, sui giornali e sui siti, vengono promosse pubblicità con offerte consistenti di denaro alle donne in cambio degli ovuli, e si tende a reclutare ragazze giovani, belle, atletiche e intelligenti perché i loro ovuli sarebbero ritenuti geneticamente preferibili. Capisce bene che così ci troviamo nel campo dell’eugenetica. Le ragazze donatrici poi non vengono informate sui rischi dell’iperstimolazione ovarica che a breve termine possono concretizzarsi in ictus, trombosi, obesità, squilibri di umore e a lungo termine nell’insorgenza del cancro e della sterilità. Tutti questi aspetti dovrebbero essere presi in seria considerazione, mentre sia la parte etica che quella scientifica, vengono regolarmente scartate per puntare unicamente sul sentimentalismo e dare l’idea dell’esistenza di un diritto assoluto ad avere figli anche da parte di chi non può».
Come giudica le reazioni ai manifesti choc di Pro Vita e Generazione Famiglia sfociate negli insulti e nella censura?
«Credo che sia arrivato il momento di smetterla con il politicamente corretto che porta sistematicamente a nascondere quello che dovrebbe essere un reato a livello internazionale. Si stanno inoltre tutelando gli interessi delle lobbies, le stesse che vorrebbero silenziare il dibattito e impedire l’affissione di manifesti su questo specifico tema. Ricordiamo che in Italia la legge 40 vieta il ricorso alla maternità surrogata, quindi viene da chiedersi per quale motivo si vadano a censurare manifesti che non ledono alcun diritto costituzionalmente garantito. In realtà vorrebbero tenerci sotto scacco rispetto a certe lobbies che traggono beneficio dall’utero in affitto che, lo ripeto, è un business mondialista e una forma di moderno schiavismo coloniale, specie quando si rivolge ai Paesi del cosiddetto Secondo Mondo. Mi stupisco che le cosiddette femministe, e tutti quei gruppi che lottano per i diritti delle donne, si prostrino davanti a certe logiche globaliste assurde come quella di trasformare il corpo della donna in uno strumento di produzione. Mi chiedo perché le femministe e le sinistre non lottino contro questa forma di sfruttamento. L’utero in affitto, inutile girarci intorno, rappresenta una cessione di maternità a pagamento e un Paese civile non dovrebbe mai assecondare la vendita di neonati per soddisfare un capriccio. E questo sia per le coppie gay che per quelle eterosessuali».
Marta Moriconi